Scala, una festa per Alì Babà e i quaranta ladroni

Gli allievi dell'Accademia della Scala alle prese con l'opera di Cherubini

Ali Babà e i 40 ladroni, teatro alla scala
Recensione
classica
Teatro alla Scala
Alì Babà e i quaranta ladroni
01 Settembre 2018

Dopo la caduta a furor di popolo di Carlo X, strenuo esumatore dell'Ancient Régime, e della salita al trono di Luigi Filippo, l'anziano Luigi Cherubini tornò all'opera lirica come se in Francia nulla fosse successo. Ali-Baba ou Les quarante voleurs è datata 1833, quattro anni dopo il Guillaume Tell di Rossini, due dal Robert le Diable di Meyerbeer.

Del grand opéra in auge qualcosa ha risentito, ma nel complesso sembra proprio guardare al passato. La sapienza compositiva di Cherubini poggia sulla sequenza dei numeri chiusi, sui declamati e ariosi, tutti in equilibrio istabile fra opera buffa e drammone. Quindi onore al merito agli allievi dell'Accademia della Scala (strumentisti e cantanti, più gli allievi della scuola di ballo) per essersi sobbarcati in simile impresa (edizione in italiano come l'ultima scaligera del 1963, diretta da Nino Sanzogno per la regia di Virginio Puecher). Sul podio stavolta Paolo Carignani, capace d'infondere energia alla giovane compagine, la regia è di Liliana Cavani, che secondo l'abitudine del vivaio scaligero ha avuto agio di lavorare con gli interpreti quasi per un anno intero.

Una possibilità di scambiare idee e di provare unica nel suo genere, irrealizzabile in qualsiasi teatro lirico. E il risultato non è mancato, equilibrio delle scene di massa, gestualità curatissima dei singoli interpreti. Cavani ha inventato un approccio a due tappe alla favola, durante l'ouverture (situazione che si ripete in apertura della seconda parte) tre ragazzi e una ragazza consultano dei volumi in biblioteca, ma gli scherzi fanno già immaginare la coppia di Nadir (Riccardo Della Sciucca, dalla precisa e svettante vocalità) e Delia (la brava e disinvolta Francesca Manzo), ai danni di chi vestirà i panni dello scornato capo della dogana (lo spiritoso Eugenio Di Lieto) consumatore seriale di tranquillanti. Indifferente e distaccato il futuro Alì Babà (Alexander Roslavets, unico del cast a non far parte dell'Accademia).

La seconda tappa è davanti a un muro gigantesco dove Nadir arriva in moto Guzzi e scopre il capo dei ladroni (Maharram Huseynov, basso autorevolissimo) e l'accesso al caveau del tesoro. Dopo il canonico "apriti Sesamo", si lascia alle spalle la contemporaneità e si entra nel mondo delle Mille e una notte, con le eleganti scenografie orientaliste di Leila Fteita e i costumi di Irene Monti. Escludendo i balletti, che non brillano per fantasia (quello delle angurie è a dir poco imbarazzante), lo spettacolo è visivamente riuscito, ma c'è da chiedersi perché scegliere un titolo così stucchevole, tanto che si è tentati di dare ragione a Berlioz che lo cassò senza appello. Delle tre opere proposte dall'Accademia della Scala, la nostra preferenza va a Hänsel und Gretel dello scorso anno.

Comunque grande successo al termine, grazie anche al sostegno dal loggione dei compagni di corso degli interpreti e dei famigliari. Non una claque come se ne sentono spesso, ma una gioiosa partecipazione, che ha trasformato la serata in una vera festa.

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