Daniele Lombardi pianista contro le guerre
A Siena per il Chigiana Festival memorabile concerto per piano solo di Giancarlo Cardini, in ricordo di Daniele Lombardi
Chi meglio di Giancarlo Cardini, uno dei protagonisti di quella straordinaria stagione che è stata l’avanguardia musicale fiorentina del dopoguerra, avrebbe potuto garantire una performance di livello per ricordare l’amico Daniele Lombardi, recentemente scomparso? Nessuno, e così è stato.
L’improvvisa assenza di Lombardi – anche lui artefice di quella stagione con tanti altri visionari compagni di viaggio come Bussotti, Chiari, Grossi e altri – lascia un doloroso vuoto, il suo peso nella sperimentazione musicale italiana è enorme, molto ancora resta da (ri)scoprire e approfondire. Il suo percorso è stato guidato da un sogno, quello del rapporto e interscambio con i linguaggi e fra i linguaggi. Su questo molto ha pensato, detto, scritto, eseguito, progettato e sognato. Lo ha affascinato da sempre l’approfondimento sul complesso rapporto tra suono, gesto, segno e visione. Tra le più geniali creature “multiverse”, lo descrive Daniel Charles, sottolineando altresì l’unicum della sua produzione visiva, sia grafica che pittorica, derivata direttamente dalle ricerche nel campo delle nuove notazioni musicali. Le sue partiture sono degli scintillanti capolavori grafici. Ma a Lombardi piaceva anche ludicamente esagerare sugli aspetti performativi delle sue opere, mai nel senso dello spettacolo ma sempre nel tentativo, serissimo, di superare i limiti del teatro musicale tradizionale. Basti qui citare la Grande sonata per 12 pianoforti (1984) e Sinfonia 1 per 21 pianoforti (1987) opere con le quali ha messo a soqquadro i centri storici di città di mezzo mondo per verificare, studiare, godere i suoni che vibrano negli spazi urbani, nella vita quotidiana.
Tra gli splendidi affreschi della Sala del Pellegrinaio in Santa Maria della Scala c’è un unico pianoforte e un esecutore unico. La scelta dei repertori che ci presenta Cardini è già un manifesto di intenti, mette l’amico tra giganti: Cage, Feldman e Scelsi. E ci sta benissimo. Apre con Mitologie IV del 2003 opera alla quale Lombardi aggiunge un sottotitolo significativo, politico, “cosa può fare un pianista contro le guerre?” suscitato dall’angoscia procuratagli dalla Guerra del Golfo. Cosa può fare? Può farci pensare, riflettere con blocchi accordali duri, percussivi, isolati e ripetuti. Blocchi che vagano nello spazio deteriorandosi lentamente in dissonanze cupe, lasciando nell’aria una scia inquieta. In mezzo ci sta qualche arpeggio quasi dolciastro, ma anche clusters secchi e violenti. L’astrattismo del brano non ambisce a una costruzione strutturata ma garantisce uno spazio ampio dove i suoni possono roteare liberi fino ad un finale sublime. Un pianista può fare di più?
Segue Seasons di Cage del 1947 per pianoforte, opera destinata ad un balletto di Merce Cunnigham (nello stesso anno fu approntata anche una versione per orchestra). Il contrasto è forte. Lombardi di Cage ha scritto: «la sua è stata un’arte senza attesa, senza turbamenti drammatici, al contrario di quella del suo maestro Arnold Schönberg». Il pianoforte procede leggero, come in una costruzione a incastri accumula frasi, cellule che svolazzano, delicatezze indescrivibili. Brano luminoso che procede in un girotondo di visioni, accelerazioni, rallentamenti, riflessioni, ripensamenti su note scolpite. L’affiancamento a Piano piece to Philip Guston (1963) di Morton Feldman è geniale. Quattro minuti scarsi di poesia pura. Schegge astratte, silenzi, riverberazioni. L’assenza di movimento ci permette di godere di tutti dettagli degli aspetti acustici.
Sul fronte meditativo aperto da Cardini i due pezzi di Lombardi, tratti da Faustimmung (1987), Terra e Narcyssus ci offrono un taglio diverso, impressionista, dolente. Una trama melodica delicata e diluita che trasfigura in arpeggi lirici. Lontani dalla gestualità percussiva ma introspettivi e problematici. Problematicità che prosegue con uno dei capolavori cageani, Winter Music (1957), dove la possibilità offerta al pianista di porre ed eseguire le venti pagine libere dell’opera in un ordine preferito la rende sempre nuova e indecifrabile. Anche il tempo è totalmente libero, così come le dinamiche e la pedalizzazione. Ne viene fuori un arcipelago di isole sonore vaganti, grumi, visioni, fluttuazioni che scompaiano e riemergono squarciate da clusters estesi e pesanti.
Con Un adieu (1988) di Giacinto Scelsi si scende nel profondo della meditazione, si va oltre. In quella parola "adieu" si scova un presagio, quello di una dipartita vicina. Le indicazioni espressive del breve brano sono la trasparenza, il mistero che lentamente si dissolve in una ambientazione esoterico-spirituale. Un cammeo straordinario per coerenza estetica, dove il suono è al centro dell’idea compositiva e ti fa entrare nelle nebbie della mente del compositore in un momento esistenziale particolare. Stesso processo che nel 1986 Lombardi, allontanando gestualità e stile percussivo, applica ai Tredici Preludi. Cardini propone il n.2 Andante, e chiude, con le sue ripetizioni armoniche e visioni melodiche sospese, una performance che lo ha visto interprete sopraffino e inarrivabile nel gesto e nel suono. Un concerto che ci rimarrà nella testa e nel cuore.
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