Valentin Silvestrov si svela a Ravenna
Il focus sul compositore ucraino per le Vie dell'amicizia al Ravenna Festival 2018
Da ventun' anni il Ravenna Festival organizza le Vie dell’amicizia, il ponte di fratellanza attraverso l’arte e la cultura, voluto da Riccardo Muti, quest’anno approdato a Kiev. Nello spirito che anima il progetto e a testimonianza dell’universalità del linguaggio musicale, siedono affianco musicisti e coristi della città meta del viaggio: l’Orchestra Giovanile Cherubini incontra i solisti, il Coro e l’Orchestra di Ucraina. Intorno alle Vie dell'amicizia il Ravenna Festival costruisce un articolato programma volto ad approfondire la produzione del compositore ucraino Valentin Silvestrov, la cui anticipazione è stata la prima dello spettacolo teatrale Sinfonia beckettiana (Nerval teatro, 21 giugno 2018) che alle musiche di Pärt, ha affiancato appunto quelle di Silvestrov.
Silvestrov è un destabilizzatore. Compie un percorso comune ad altri artisti della sua epoca e della sua provenienza geografica: sul piano artistico negli anni Sessanta aderisce all’avanguardia, ma subito l’abbandona (similmente ad Arvo Pärt) per cercare una via autonoma; sul piano politico, viene perseguitato, e come il celebre scrittore Iosif Brodskij, viene accusato di parassitismo sociale, anche se – a differenza di quest'ultimo – non emigra.
A metà degli anni Settanta, in concomitanza con le sue nuove scelte estetiche, è tacciato dai colleghi di tradimento dell’avanguardia. Il ciclo vocale Silent Song (1974-77) segna l’inizio della nuova fase, col ritorno alla melodia che, in quegli anni, suonava come un gesto di rottura. I Songs determinano una delle nuove strategie compositive che diverranno peculiari in Silvestrov: opere incentrate sì, sulla melodia, ma che sono anche e soprattutto “metamusica”, in cui sempre rintracciamo echi, composti e nuovamente risonanti, di Mozart, Schubert, Mahler, Ciajkovskij. Una musica che volutamente riecheggia il passato, il quale suona però trasfigurato e come “ricolato in un nuovo stampo”. È la tradizione filtrata attraverso le orecchie dei contemporanei, il passato che parla una lingua nuova.
Primo appuntamento (2 luglio) con le sorelle Gazzana (violino e pianoforte), affiatato duo interprete d’elezione del compositore: il concerto nella splendida Sala del Refettorio del Museo nazionale ben evidenzia il gioco di specchi, prima l’Hommage à Johann Sebastian Bach (violino e piano), ispirato alla Seconda Partita, seguito dall’originale per violino solo. È come se al compositore queste citazioni musicali apparissero in sogno e come se noi le ascoltassimo attraverso una parete. Le Bagatelle di Silvestrov, invece, niente hanno in comune con quelle beethoveniane: col termine intende solo una piccola forma e, per sua ammissione, un nonnulla. L’op. 1, interpretata da Raffaella Gazzana al piano, è composta da piccoli pezzi, basati su ripetizioni e sospensioni, più sugli interstizi che si trovano tra la musica, che su temi musicali. Le Bagatelle op. 1 sono state la scintilla generatrice di un diluvio di pezzi analoghi composti per vari organici: Silvestrov stesso ne ha presentate al pianoforte alcune inedite, sia nell’incontro col pubblico il 3 luglio sia come bis fuori programma nel concerto corale tenutosi a Sant’Apollinare in Classe il 4. La melodia è intesa come una risposta a lampi “istantanei” d’intonazioni, richiami, motivi che non abbandonano più l’orecchio. La forma più breve rende possibile catturare e trattenere l’attimo, senza opprimerlo – questo nelle intenzioni del compositore - con il lavoro tematico.
Anche Der Bote (pianoforte solo), la cui ispirazione è Mozart, è particolarmente significativo: i suoni ci arrivano ovattati, di lontano, il piano è completamente chiuso. Trovato uno spunto musicale, qualcosa che è l’accenno di un tema, è come se Silvestrov rimanesse in quieta osservazione. Sì, ricorda qualcos’altro, ma non appena ti pare d’intuire cosa, lo spunto viene nuovamente formulato, per tornare in una forma nuova. Il “motivo”, o “seme”, come lo chiama il compositore, privo di un vero sviluppo, si rifrange come in un caleidoscopio. In questo potente sistema di “sospensione”, la mente è tentata da molte domande: quali significati assumono oggi i ricordi musicali di ieri? Che immagine permane nella memoria, quando la musica sparisce? Muovendo i primi passi in quest’universo non è chiaro dove si vada, ma alla fine tutto si ricompone. È un sasso lanciato in un lago che genera cerchi concentrici con lentezza e regolarità. C’è, oltre alla melodia, il piacere del suono: a partire da un “seme” (uno spunto, una semifrase, meno di un tema) risuonano concatenazioni armoniche incantatorie; ciò è soprattutto vero quando Silvestrov tratta la scrittura corale, giocando con l’acustica del luogo nel quale i suoi brani sono eseguiti, ad esempio nella Cantata n. 4 per soprano, pianoforte e orchestra d’archi, nata nella cattedrale della Dormizione del monastero delle grotte di Kiev, interpretata nell’incanto di Sant’Apollinare in Classe con grazia e intensità da Kseniia Bakhritdinova, diretta da Mykola Diadiura, insieme agli elementi dell’Orchestra dell’Opera ucraina e Anastasiya Titovych al pianoforte.
L’incontro col compositore (3 luglio), in dialogo con Constantin Sigov, svela i cardini della sua poetica, ma non solo. Con le sue parole Silvestrov arricchisce e precisa il significato delle Vie dell’amicizia, riflettendo sulle parole che aprono il Lincoln Portrait di Copland – eseguito a Kiev e Ravenna – e facendole proprie. (E, in un circolo virtuoso, le Vie si sono concluse in Sant’Apollinare in Classe con l’abbraccio di Muti al collega). L’uomo è vulnerabile di fronte alla storia, la sua voce è l’unico strumento che può essere contrapposto alla barbarie: anche in mezzo alla miseria della guerra, voci – forse flebili, talvolta inascoltate – sono tutto ciò che resta. Così Silvestrov, provocato da una mia domanda, ha definito sorridendo la sua opera: “un sommesso ultimatum”. Con un monito: può darsi che questa voce sia così lieve che nessuno la ascolti; ma, a chi presti orecchio, e la prenda sul serio, potrà suonare come un mantra o una rivelazione.
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