Le complesse vicende di Fierrabras
Alla Scala l'opera di Schubert diretta da Harding
Il merito d'aver riscoperto Fierrabras di Schubert va a Claudio Abbado che la diresse a Vienna nel 1988 con la regia di Ruth Berghaus, in Italia la ripropose poi Semyon Bychkov nel 1995 al Maggio Fiorentino nella messa in scena di Luca Ronconi e ora per la prima volta viene rappresentata alla Scala, con Daniel Harding sul podio, nell'edizione che Peter Stein realizzò quattro anni fa per il Festival di Salisburgo proprio in omaggio ad Abbado. L'opera di Schubert è penalizzata da un impianto drammatugico quasi inesistente, per di più intorcigliato su se stesso, tanto che c'è da scommettere che pochi spettattori sarebbero in grado di ricostruire i problemi di cuore dei cinque giovani e le loro più o meno audaci imprese guerresche all'epoca di re Carlo alle prese coi Mori infedeli. La regia di Stein, che ne segue rispettosamente il groviglio, si limita a illustrarlo utilizzando le belle scene di Ferdinand Wögerbauer, che amplificano i tratti delle stampe in bianco e nero, forse ispirate alle incisioni orientaliste di David Roberts, e avvalendosi degli eleganti costumi di Anna Maria Heinreich (bianchi e argento per i paladini, neri per i Mori), ma alla fine lo spettacolo si riduce a una bella vetrina senza troppe idee. Se si eccettua la torre del secondo atto che, grazie ai magici effetti di luce di Joachim Barth, a un tratto fa sparire la facciata per svelare i paladini prigionieri all'interno, per il resto è tutto un succedersi di cori impalati in proscenio, di duetti statici, di tensioni frustrate dalla staticità dei corpi. Non c'è recitazione del singolo, né equilibrata gestione degli insiemi.
Tutt'altro discorso riguarda invece l'esito musicale, perché alla direzione impeccabile di Harding, che oltre a infondere la sua inconfondibile energia all'orchestra, sa anche rispettare i passaggi delicati "da lied" dei quali è ricca la partituta, corrisponde un cast di prima grandezza, per precisione di emissione, eleganza di fraseggio e, perché no, anche di aspetto. Davvero un'ottima edizione e non si può che essere contenti che la Scala l'abbia proposta in cartellone.
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