Muti e i "suoi" giovani al Lingotto

Torino: l'unica tappa italiana dell'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini ha concluso la stagione del Concerti del Lingotto

Muti e l'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini (Foto Pasquale Juzzolino)
Muti e l'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini (Foto Pasquale Juzzolino)
Recensione
classica
Auditorium Giovanni Agnelli, Torino
Muti e l'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
30 Maggio 2018

È un onore, per Torino, ospitare su invito del Lingotto Musica la data conclusiva della fortunata tournée europea (Parigi, Lussemburgo, Ginevra, oltre alla prova aperta a Piacenza) dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e del suo direttore Riccardo Muti. L’orchestra, fondata da Muti nel 2004, dimostra una maturità artistica sorprendente – superiore talvolta a quella delle orchestre stabili –, che fa dimenticare all’istante di aver di fronte tutti musicisti under 30. Il programma concepito per la tournée, incentrato sugli operisti italiani della seconda metà dell’Ottocento, sembra fatto apposta per evidenziare le qualità della compagine. Sin dalla Contemplazione di Catalani che apre la serata, la cantabilità italiana si srotola flessuosa: il suono dell’orchestra è tornito, bello, rotondo; la purezza, in particolare degli archi, spicca nell’Intermezzo di Cavalleria Rusticana (una musica “del cuore”, cui Muti è indubitabilmente molto legato; basti guardare su YouTube un’esecuzione tratta dal Ravenna Festival 1996). Tutte le accezioni del discorso musicale operistico sono declinate in questa serata, il dramma dell’Intermezzo dei Pagliacci, in cui il respiro di orchestra e direttore sono una cosa sola; il fiume in piena di travolgente passione del Puccini della Manon Lescaut, un impeto sincero, mai eccessivo. Un’atmosfera di gioia percepibile circonda quest’orchestra, di chi prova l’intimo appagamento derivante dal fare in modo eccellente ciò che ama e sa fare («fai il tuo dovere e avrai il tuo diritto», recita un proverbio norvegese): un clima di collaborazione e professionalità. I musicisti sentono con affetto il “loro” maestro e Muti, dal par suo, si dà loro con tutte le sue energie: in prova e sul podio l’impegno profuso con i Wiener Philharmoniker è identico a quello riservato ai fortunati e selezionatissimi musicisti della Cherubini. Il lavoro di cesello su dettagli, apparentemente minimi, si ascolta ad esempio nel Notturno op. 70 n. 1 di Martucci, negli interventi in filigrana dell’arpa sopra al tessuto acquatico, lievemente increspato dell’orchestra, o del corno (l’ottimo Stefano Fracchia). L’intesa tra direttore e orchestra, se possibile, s’intensifica ancora nella seconda parte del concerto che includeva i Ballabili dal terzo atto de I vespri siciliani (“Le quattro stagioni”) di Verdi e la Sinfonia della stessa opera. Incastonati nei Ballabili – i Vespri erano destinati a Parigi e il grand opéra francese prevedeva sempre un ballo – alcuni interventi solistici di pregio, tra cui quelli del flauto (Sara Tenaglia, prossimo primo flauto dell’Orchestra del Regio di Torino, recente vincitrice del concorso) e dell’oboe. Non è necessario ripetere che l’idioma verdiano sia uno di quelli che più appartengono all’Orchestra Cherubini e a Muti, quanto sottolineare le sue doti da “apprendista stregone”: deve sembrare del tutto misterioso a chi, fra il pubblico, stia alle spalle del direttore, ciò che egli sappia fare con un gesto piccolissimo o un’espressione del volto. Chi abbia però la possibilità di osservarlo, intuisce con chiarezza che solo un rigoroso lavoro e il conseguente affiatamento costruito nel corso degli anni, rende possibile con mezzi minimi, attraverso uno sguardo, un cenno invisibile, quel suono e un’interpretazione di abbagliante bellezza.

 

 

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