Il racconto del racconto
Bolzano applaude la prima italiana di Written on Skin di Benjamin
Recensione
classica
Nel mezzo del dibattito che discute, con teste e testi, sull'essenza e sulla necessità della critica musicale, ossia del come e soprattutto perchè la parola racconti la musica, capita una sera a teatro in cui la questione si ribalti senza preavviso, e sia la musica a raccontare la parola. Così è per la prima italiana di Written on Skin del britannico George Benjamin su libretto di Martin Crimp.
Il canovaccio ha radici lontane: per il desiderio di avere un prezioso libro miniato che esalti il suo potere, un uomo porta in casa un giovane artista, di cui si innamora la moglie sottomessa; il marito scopre la relazione, uccide il giovane e offre come pietanza alla donna, ignara, il cuore dello sventurato amante; venutane a conoscenza, lei si uccide. Storia erotica e truculenta, eppure non c'è sangue né violenza sul palco, non ci sono suoni agghiaccianti né tragedie urlate. Il colore predominante è uno, chiaro e indefinito: quello della pelle, della luce e della glassharmonica che interviene nella culmine finale.
L'opera si realizza in un metaracconto dove i personaggi sono molteplici, ma il pensiero segue un solo cammino, e le comparse sono numerose, ma si riducono ad un'unica rappresentazione, la scenografia. Ed ecco che la vera protagonista è la parola, la frase ed il pensiero, con il suo respiro, il suo andamento, le pause e le attese. Questo palpito viene raccontato dalla musica di Benjamin, che, essenziale e pregnante, ne segue la fluidità interpretandola e restituendola al pubblico come una recitazione omerica, esecuzione poetica dell'aedo per eccellenza. Cade di conseguenza la necessità di una voce fuori campo che si distingua nettamente dai personaggi, cade il bisogno di rappresentare il vero al posto del verosimile, si perde infine l'esigenza di una scena. Anzi, diversamente dal primo allestimento con cui l'opera si presentò nel 2012 ad Aix-en-Provence, la regia di Nicola Raab assieme alle scene e costumi di Mirella Weingarten hanno permesso anche un'interessante permeabilità temporale tra il XIII secolo, in cui è ambientata l'opera, ed il qui ed ora della nostra contemporaneità.
Interessante la scelta di affidare il ruolo del giovane artista/amante ad un controtenore e buona la prova dei cantanti. Precisa ed efficace l'Orchestra Haydn, diretta con una attenzione particolare alla scena dal giovane Rossen Gergov.
Con queste premesse, piacerebbe ascoltare un'opera nuova sui testi di Shakespeare, che la coppia Benjamin-Crimp saprebbe cogliere con le mani di un giardiniere esperto.
Note: Prima esecuzione italiana; Produzione Fondazione Haydn di Bolzano e Trento; Allestimento Theater St. Gallen
Interpreti: Agnès: Vera-Lotte Böcker; Protector: Andrew Schroeder; First Angel, The Boy: Bernhard Landauer; Second Angel, Marie: Anna Werle; Third Angel, John Daniel: Ralphsson
Regia: Nicola Raab
Scene: Mirella Weingarten
Costumi: Mirella Weingarten
Orchestra: Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Direttore: Rossen Gergov
Luci: Andreas Volk
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