Sulla carta era La Vedova Allegra di Franz Lehár, l'allestimento, studiato in profondità, già visto nel 2010, del Teatro di San Carlo, in coproduzione con il Teatro Verdi di Trieste, il Teatro Carlo Felice di Genova e l’Arena di Verona: repertorio di seduzione, echi di valzer, ungaricismi, senza bisogno di grandi colpi di scena. In realtà grazie alla tradizionale firma del regista Federico Tiezzi, pur priva di quelle semplificazioni idiomatiche, ed in italiano - a tratti anche napoletano - la nostra attenzione stava immancabilmente concentrata sulla musica. Su una tinta di fondo leggera e spigolosa, il direttore Alfred Eschwé, cesellava il famoso valzer, la polacca e le altre danze, nervoso, accentuato in un crescendo di voluttuoso dramma. Il ritmo, le strutture accordali, stendono la scrittura che procede ben sorvegliata sotto il braccio sicuro di Eschwé. La ricca invenzione melodica è sempre accompagnata in maniera efficace, molto godibile: colori, dinamiche, tutto. Perfetta l'orchestra negli stacchi teatrali della partitura come autentici ritratti di carattere. Le danze, ahimè, essenziali in tutti e tre atti e tre feste, per la coreografia di Lienz Chang - insegnante alla scuola del teatro - sono scolastiche, addirittura grottesche, anche accenni a passi dalla Sagra di Diaghilev.
Le scene, di colori intensi, un argenteo siparietto per i dialoghi, ambientazione 1929, caduta di Wall Street - la vedova debutta in scena uscendo da una cassaforte gigante - sono modellate su archetipi figurativi anni Venti. I tagli di colore con i bei costumi di Giovanna Buzzi, laccati, il rosso dominante chez Maxim; più che il desiderio di passione e denaro, a muovere i personaggi è il bisogno di contatto fisico, abbracci, profanamente umani, persino fragili, una fisicità ironica a volte. L'atto che più diverte il pubblico della prima è il terzo, finale, più carnale di matericità artistica. A sfondo, in questa scena di ambiente sobrio - stanno protagonisti, ballerini con Njegus, un visibilmente emozionato Peppe Barra. La sua voce è ironica, spirito napoletano. Quello che più provoca è il secondo atto.
Il tutto aiuta la compagnia di canto, di media qualità, a tenersi teatralmente insieme. I tratti morbidi di Valentina Farcas in Valencienne - arriva un po' stanca alla fine. Maria Pia Piscitelli, che sostituisce la Remigio, è Hanna Glawari, scolpita nel registro acuto, solo leggermente sinuosa e Bruno Praticò misurato e giusto nel ruolo è Il barone Mirko Zeta. Bernhard Berchtold incarna un torbido Camille de Rossillon. Su tutti spicca il conte Danilo Danilowitsch di Markus Werba, autorevole nella statura vocale, tiene su tutto da sé. Ogni sua aria diventa momento cardine dello spettacolo. Ma Peppe Barra nel ruolo di Njegus, sottile nella voce e colori ed atono nel canto drammatico, come se la sarebbe cavata? Senza la sua spiccata personalità e la teatralità di Tiezzi sarebbe sparito nel fondo dell'ambientazione. Di effetto il suo - in dialetto: " 'O fridd' ncuoll".
Note: Foto di L. Romano
Interpreti: Il barone Mirko Zeta, Bruno Praticò, Valencienne, Valentina Farcas, Il conte Danilo Danilowitsch, Markus Werba, Hanna Glawari Maria Pia Piscitelli, Camille de Rossillon, Bernhard Berchtold, Il visconte Cascada, Domenico Colaianni Roul de St-Brioche, Enzo Peroni Bogdanowitsch, Matteo Ferrara Sylviane, Francesca Martini Kromow, Donato Di Gioia
Olga, Miriam Artiaco Pritschitsch, Dario Giorgelè Praskowia, Lara Lagni. Con la partecipazione di Peppe Barra nel ruolo di Njegus
Regia: Federico Tiezzi
Costumi: Giovanna Buzzi
Corpo di Ballo: del teatro di San Carlo
Coreografo: Lienz Chang
Orchestra: del teatro di San Carlo
Direttore: Alfred Eschwé
Coro: del teatro di San Carlo
Maestro Coro: Marco Faelli