Con "Lou Salomé" la Fenice ricorda Sinopoli
Riproposta l'opera che il compositore/direttore ritirò dopo il debutto tedesco del 1981

Recensione
classica
A dieci anni dalla morte di Giuseppe Sinopoli e a trenta dalla prima – e unica – di Monaco, la Fenice apre la stagione riproponendo “Lou Salomé”, ultimo sforzo compositivo del musicista prima di dedicarsi esclusivamente alla direzione d’orchestra. Ritirata dallo stesso Sinopoli dopo il debutto, l’opera torna (un po’ sforbiciata) dall’oblio con il placet della famiglia del compianto direttore/compositore e viene accolta con il meritato affetto dall’elegante platea del teatro veneziano.
Nel libretto, suddiviso in quadri densi di poesia quanto poco fluidi narrativamente, Lou Salomé ripercorre la propria vita, dall’infanzia in Russia alle complicate relazioni con Nietzsche, Rilke e Andreas, e Sinopoli costruisce su di esso una partitura che riverbera tutto il proprio ricchissimo mondo di riferimenti culturali. Si alternano così con naturalezza, in una partitura spesso illuminata da sorprendenti momenti melodici, echi della Seconda Scuola Viennese e sprazzi di Weill, squarci pucciniani e pennellate mahleriane, tutto gestito con mano sicura dalla bacchetta di Zagrosek e impreziosito dalla prova della protagonista Angeles Blancas Gulin.
Decisamente poco avvincente l’aspetto drammaturgico dell’allestimento (a cura degli studenti IUAV tutorati da Ronconi, Palli e altri), con un gioco di sdoppiamenti di ruolo tra cantanti e attori non sempre facile da seguire: nonostante la suggestiva trovata dell’azione in platea, attorno a un albero, non ci convincono le didascaliche proiezioni e la superfluità di molti movimenti. Di pessimo gusto poi, durante il bel coro finale, l’attraversamento della scena da parte di un “sosia” di Sinopoli. Che è certamente “il” protagonista vero dell’opera, ma quello ce l’aveva già detto con chiarezza la musica.
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