Le suggestioni retrospettive di Laurie
Il Festival Transart ha ospitato a Bolzano l'artista nella sua unica data italiana.
Recensione
classica
Non un concerto vero e proprio, ma un suggestivo racconto dell'animo umano. Questo è stato lo spettacolo di Laurie Anderson. Coerente con la sua personale idea dell'arte come atto creativo senza strutture o separazioni di genere, la performance dell'artista americana si presenta come un lungo ed intenso monologo teatrale in inglese dove la musica elettronica di echi e fasce sonore sostiene il fluire del racconto, riempiendo saltuariamente i respiri fisiologici del testo attraverso un canto di voce o di violino. Con un inizio dal sapore biblico in cui stormi di uccelli volano sopra un mondo dove la terra non esiste ancora, scoprendo l'inizio di una memoria collettiva, la voce incantatrice della Anderson esplora le emozioni dell'essere umano raccontando piccole storie della sua vita personale, tante piccole fotografie da sfogliare in un album privato che ci servono per rispondere agli interrogativi di sempre: da dove veniamo, chi siamo oggi, quale sarà il futuro che ci aspetta. Sul palco una poltrona, una consolle, una costellazione di piccole candele, una tenue luce blu, attorno l'oscurità di un magazzino dismesso: questo alimenta un legame d'intimità tra la voce della Anderson ed il pubblico. E se si sorride facilmente alla sua esperienza lavorativa da McDonald's («per la prima volta nella mia vita ho avuto la sensazione di essere capace di dare alle persone esattamente quello che mi chiedevano») un brivido ci coglie allo sventurato racconto del suo cane («quando un rapace calò dall'alto per farne la sua preda, lessi due espressioni nei suoi occhi: la disperazione di realizzare una morte vicina e la gioia di volare nel cielo. Le stesse espressioni che avevano i miei vicini a New York l'11 settembre»). L'emozione è forte, la suggestione completa.
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