Quel killer dubbioso nel cubo rotante
Venezia: il "ludodramma" di Claudio Ambrosini, da uno spunto di Daniel Pennac
Recensione
classica
La Fenice chiude il 2010 con un nuovo sovrintendente (Cristiano Chiarot, cui vanno i nostri auguri di buon lavoro in un periodo davvero difficile) e una premiére di Claudio Ambrosini, che da uno spunto pensato insieme allo scrittore Daniel Pennac, ha dato vita a un "ludodramma" in due atti sulla figura di un "killer" – alquanto dubbioso – incaricato di eliminare le parole desuete dal dizionario per sostituirle con quelle nuove.
Nel primo atto, con la scena dominata da un grande cubo rotante, suggestivo quanto scomodo per i cantanti, il nostro killer deve tenere testa alle incursioni di una moglie che alle parole preferisce decisamente i numeri, di un collega infido e di una parola da lui eliminata che viene a tormentarlo. Nel secondo – dopo un intervallo lunghissimo dovuto alla complessità del cambio di scenografia – è uno spazio assai più spoglio, ma altrettanto efficace, a fare da sfondo alle testimonianze degli ultimi parlanti di lingue morenti, fino al colpo di scena finale.
Compositore e librettista ricco di fantasia e di colori, Ambrosini costruisce un lavoro spesso divertente, ben assecondato dai cantanti (su tutti il killer stesso, un ottimo Roberto Abbondanza) e dalla direzione di Andrea Molino. Il tutto funziona molto bene dal punto di vista orchestrale – curatissimo – e nelle belle parti corali; quelle cantate convincono meno, specialmente nei passaggi di dialogo più articolato, mentre le sezioni affidate agli ultimi parlanti di lingue inventate sono spesso fantasiose e divertenti. Quanto alla regia, i punti critici sono un po’ quelli di molto teatro musicale contemporaneo, con una staticità di fondo che nessuna trovata, pur fascinosa come quella del cubo rotante, riesce a smuovere definitivamente. Il pubblico ha applaudito tutti con calore.
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