L'improvvisazione di Evan Parker irrompe alla Biennale
In una serata a geometrie variabili, convince il trio del sassofonista inglese
Recensione
classica
Un trio di improvvisatori con elettronica alla Biennale Musica? Naturale, direte voi. Mica tanto, in realtà, dando uno sguardo ai cartelloni degli ultimi anni (edizione Uri Caine esclusa), nei quali l’improvvisazione ha fatto la sua comparsa con il contagocce e quasi sempre con un ruolo di curiosa eccezione. Assume così un significato importante – e speriamo non occasionale – l’intensa prestazione alle Tese del sassofonista inglese Evan Parker con il contrabbasso di Barry Guy, la batteria di Paul Lovens e l’elettronica di Walter Prati e del duo FURT, in apertura di una serata "Extempore" pensata dal direttore Francesconi a "geometrie variabili". Due lunghe composizioni istantanee, con Parker impegnato al soprano e la ritmica a esplorare impetuosamente gli spazi sonori. Nella prima la rielaborazione in tempo reale di Prati è semplice e efficace, nella seconda i suoni del duo FURT sembrano a un tratto un po’ soffocare il respiro complessivo, ma il finale è spettacolare, dilatato su un lungo "drone" cangiante. Spazio poi, ma siamo nuovamente nei "ranghi", al bravo pianista Ciro Longobardi, preciso nel "Gaspard de la Nuit" raveliano, così come nei "Notturni" di Sciarrino (non una delle sue cose migliori) e nella prima esecuzione di "Tre Fantasie" di Gabrio Taglietti. A cinque compositori è stata poi commissionata una libera ispirazione dalla "Serenata per un satellite" di Maderna: il lavoro di scrittura per l’Orchestra da Padova e del Veneto è accurato, ma le idee ci sono sembrate non sempre molto fresche. Tra tutti ci è piaciuto il giovane Vittorio Montalti, autore di un "Dittico" fantasioso e non banale. A chiudere il cerchio ancora spazio all’elettronica dei FURT, nella speranza che per la Biennale queste pratiche non rimangano… ex-temporanee.
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