Thaïs simbolica e floreale
Al Regio di Torino la Thaïs di Massenet in una nuova produzione firmata da Stefano Poda
Recensione
classica
Una prima in tempo di crisi, questa della Thaïs inaugurata ieri al Teatro Regio di Torino. I lavoratori del teatro hanno deciso di aderire allo sciopero nazionale degli artisti proclamato per la giornata di ieri senza bloccare la rappresentazione, ma anzi proseguendo il dialogo con la città già iniziato in occasione della giornata "a porte aperte" del 13 novembre scorso. A sipario chiuso, con gli orchestrali schierati, il sovrintendente Vergnano legge una dichiarazione di ringraziamento – e adesione ideale alla protesta – da parte della direzione, seguito dal comunicato sindacale, che ricorda come i fortissimi tagli adombrati dalla finanziaria minaccino di abbattersi su tutte le Fondazioni senza distinzioni di merito, senza meccanismi di compensazione per le realtà virtuose, senza alcun tentativo di salvare e promuovere la qualità. Un applauso in piedi del pubblico saluta la lettura, segno che – almeno tra i melomani – queste preoccupazioni sono largamente condivise.
Opera di ascolto non frequentissimo in teatro, Thaïs approda dunque al Regio in una nuova produzione contraddistinta da diversi debutti: quello del direttore Noseda e della protagonista Barbara Frittoli nell'opera, quello del regista Stefano Poda addirittura sui palcoscenici italiani, essendosi svolta la sua carriera finora solo all'estero, in Spagna e in America latina soprattuto. In questa occasione firma tutto: regia, coreografia, scene, luci e costumi. La sua concezione scenica mira a trasmettere, più che significati compiuti, l'impressione vaga di una serie di significati, racchiudendo la musica preziosa di Massenet in una cornice vivida, mai prevaricante, sempre molto attenta al gioco di insieme e con un bel gusto della composizione. Molto riuscite le luci, intelligente e creativo lo sfruttamento di praticabili e ponti mobili, con tocchi di ironia (specie nelle pantomime un po' Tanz Theater), e qualche gratuità (le contorsioni dei cenobiti, i corpi appesi per i piedi come nella carta dei tarocchi, i grandi mosaici di particolari anatomici). La musica, nella salda ed efficace concertazione di Noseda, risalta in tutto il suo splendore: sull'impalcatura di una lingua flessibile e suggestiva (Massenet richiese esplicitamente al librettista Louis Gallet di trarre dall'opulento romanzo di Anatole France un "poema in prosa"), si adagiano chiare filigrane orchestrali, echi di un esotismo stilizzato e quasi appena suggerito, e un melodismo floreale che riporta alla mente le espressioni della coeva Art Nouveau. Nei panni della cortigiana ravveduta e ascesa alla santità Barbara Frittoli appare talvolta in difficoltà: qualche cenno di fatica negli acuti dell'aria dello specchio, il vibrato spesso eccessivo. Il timbro della sua notevole voce, che appare scurito rispetto allo squillo degli esordi, dona alla sua sacerdotessa convertita una qualità ieratica abbastanza inusuale, ma interessante. Ottima prova anche del resto del cast, con particolare plauso alla Charmeuse di Daniela Schillaci.
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