Sansone di forza, vocale ed espressiva
Saint-Saëns ritorna a Bologna e incolla il pubblico alla sedia per l'emozione
Recensione
classica
Il titolo conclusivo e il più atteso della stagione, mancando l'opera a Bologna da oltre mezzo secolo e vantando una locandina di tutto rispetto. Aspettative ampiamente ripagate, con uno spettacolo intelligente sul piano musicale e su quello scenico.
Nell'invenzione di Michal Znaniecki, gli Ebrei (quelli moderni della diaspora, ma senza una precisa connotazione storica) sono catapultati in un paese di Filistei favolistico, da film fantascientifico: è la partitura di Saint-Saëns a suggerirlo, dando voce ai primi con sonorità stereotipate simbolicamente ebraiche, codificatesi da Mendelssohn in poi, agli altri con l'insistita tavolozza dell'esotismo, dell'armonicamente e melodicamente "diverso", che nel Baccanale trionfa in un macabro rito esoterico. Il tutto inscatolato nella struttura scenica di Tiziano Santi algida e tecnologica, che parte come l'atrio in marmo di un moderno edificio pubblico (una sinagoga?) e che poi scomponendosi si fa pian piano assorbire dalla vicenda, divenendone oggetto (l'altare sacrificale, le colonne).
Sul palcoscenico, due cantanti di gran pregio. Julia Gersteva migliora la sua prestazione rispetto alla recente Carmen fiorentina; eccelle nelle morbidezze del second'atto, più a disagio nell'aggressiva scrittura del terzo, con acuti non sempre intonati e timbricamente piacevoli. Ma il personaggio funziona benissimo. José Cura comincia male, con i suoni fibrosi e strascicati che mai gli perdoniamo; poi nel duetto d'amore abbandona i soliti vezzi ed esce il grande cantante, che nel terzo atto trionfa per espressività e forza scenica, da vero artista. Festeggiatissimo dal pubblico, così come Eliahu Inbal che ha tratto il meglio da orchestra e coro.
Spettacolo coinvolgente, che rimarrà a lungo nella memoria.
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