La risurrezione della Pleyel

La mitica Salle Pleyel torna a vivere, dopo quattro anni di chiusura e 24 mesi di lavori che non hanno risparmiato niente. L'acustica ne esce profondamente migliorata. Per l'apertura, il programma prevedeva la sinfonia "La Risurrezione" di Mahler eseguita dall'Orchestre de Paris. Sul podio il direttore stabile Eschenbach. Una serata emozionante, a dispetto di qualche delusione specie per le voci e il coro.

Recensione
classica
Salle Pleyel Parigi
13 Settembre 2006
Dopo quattro anni di chiusura, 24 mesi di lavori e un bel po' di polemiche, la Salle Pleyel torna al suo pubblico. Interamente rifatta, abbellita ed acusticamente migliorata. Tanti motivi di fierezza per il ministro alla Culture Renaud Donnedieu de Vabres che al concerto della riapertura ha fatto gli onori di casa. Manco a dirlo i biglietti erano tutti venduti e la lista delle celebrità lunghissima. Gestita d'ora in avanti dalla direzione della Cité de la musique, la sala Pleyel si ritrova ad ospitare stabilmente due orchestre (l'Orchestre de Paris e l'Orchestre philarmonique de Radio France), più quelle di passaggio. L'onore del taglio del nastro è spettato all'Orchestre de Paris, residente storico della struttura. Sotto la bacchetta di Christoph Eschenbach, quello che è certamente uno dei migliori organici francesi ha eseguito la seconda sinfonia di Gustav Mahler, detta la "Resurrezione" (riferimento probabilmente casuale, ma certo preso come un auspicio da molti). In questo nuovo spazio ormai acusticamente calibratissimo, l'Orchestre de Paris ha potuto far risaltare la perfezione dei dettagli di cui è capace. Lo aveva già provato con la "Tetralogia" allo Châtelet, lo ha confermato con il concerto di apertura della Pleyel: è un'orchestra risultante dalla somma di solisti finissimi. Ma l'esaltazione del dettaglio ha pure teso qualche tranello: Eschenbach ha optato per tempi lenti. Certo i pianissimi di cui è capace quest'orchestra sono magici, ma la tensione dell'insieme ne ha un po' risentito. Le voci di Simona Saturova e Mihoko Fujimora non sono state all'altezza del resto. Pure l'esecuzione del coro è parsa opaca. Una serata comunque indimenticabile. E per l'occasione, un cambio di look forse simbolico: gli orchestrali hanno definitivamente appeso il frac al chiodo.

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