Pelléas et Mélisande apre Salisburgo pasquale
Buona edizione di Pélleas et Mèlisande al Festival di Pasqua di Salisburgo con Simon Rattle sul podio dei Berliner
Recensione
classica
Mélisande (la bella e strepitosa Angelika Kirchschslager) non ha capelli abbastanza lunghi per farli penzolare dalla torre, in compenso la loro carica erotica viene amplificata dalle onde proiettate ai lati del boccascena e dai gesti sognanti di Pélleas che accarezza l'aria. Nei panni di quest'ultimo non un tenore, ma come può succedere, un baritono, l'ottimo Simon Keenlyside dalla voce vellutata e di fascinosa presenza. Ottimo anche il cupo Arkel di Robert Lloyd, mentre il Golaud di Gerald Finley, per quanto di grande scuola, non dispone di sufficiente volume. Anche perché sul podio Simon Rattle non sembra troppo preoccuparsi che i suoi Berliner coprano le voci. Dalla buca provengono sonorità nette e materiche, ma a prezzo di fastidiosi squilibri, coi cantanti spesso obbligati a exploit wagneriani poco consoni all'atmosfera diafana e intimistica dell'opera. Non è la sola pecca di questa edizione salisburghese di Pelléas et Mélisande che apre il Festival di Pasqua, l'altra riguarda i costumi maschili, disegnati da Raul Fernandez, sorta di uniformi-tute da pagliaccio, piene di lustrini dalla cintola in su, con spropositati rigonfiamenti in basso che evocano grandi deretani e costringono a movenze da tacchino. Danno l'idea di una corte esangue e prigioniera di chissà quale stupida etichetta, ma appaiono comunque ridicoli, deleteri per l'azione scenica. Il resto tuttavia funziona a dovere, la regia di Stanislas Nordey mette in evidenza quanto di non detto o di appena accennato c'è nel testo di Maeterlinck, forse anche in funzione del gigantesco palco salisburghese. Nella prima parte, fino al terzo atto compreso, si alternano grandi parallelepipedi grigi, ruotanti, spostati a vista, che si spalancano a ogni scena. In quella della torre Mélisande, in veste rossa, è ritta su un balconcino circondato da vestiti appesi dello stesso colore; nel finale del terzo atto, quando Golaud chiede al piccolo Yniold (un bravo solista del Tolzer Knabenchors) di spiare la coppia, la fatidica finestra si apre su una parete bianca coi due, immobili, di profilo, seduti su delle seggiole sospese. Belle immagini, un po' da vetrina, che danno precisi ed eleganti connotati allo spettacolo. La seconda parte è invece segnata da un susseguirsi di fondali rossi striati di nero, sempre più larghi, contro i quali si stagliano in controluce le figure scure dei personaggi. Mentre il finale vede Mélisande morente, seduta sotto un fascio di luce, attorniata da manichini senza testa, nelle solite tute di corte, che vengono portati via sulle ultime note. Buona l'accoglienza del pubblico, anche se in passato a Salisburgo se ne sono viste di più calorose.
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