Deliziosa Andromeda
Nel recupero di una programmazione dissennata, al Teatro Massimo palermitano si è riuscito in poco tempo ad allestire la prima italiana di una deliziosa opera del francese Jacques Ibert: "Persée et Andromède"
Recensione
classica
Nel recupero di una programmazione dissennata, al Teatro Massimo palermitano si è riuscito in poco tempo ad allestire la prima italiana di una deliziosa opera del francese Jacques Ibert: "Persée et Andromède" fu infatti riscoperta alcuni anni fa a Strasburgo dal maestro Jan Latham-Koenig, oggi nuovo direttore stabile del Massimo e sul podio di questa nuova produzione accostata alla ripresa del "Castello del principe Barbablù" di Béla Bartók. Il maestro Latham-Koenig non poteva debuttare più felicemente dando carica inaspettata ad un'orchestra precisa e versatile nell'affrontare le difficoltà di entrambe le opere, ma al suo merito si aggiunga quello determinante di una realizzazione scenica d'inconsueta eleganza e suggestione. La regia esperta di Lorenza Cantini si sposa infatti benissimo con i costumi e la scenografia ideata dal palermitano Francesco Zito: per "Barbablù" ci si ritrova in un claustrofobico ambiente dominato da un muro che svela di volta in volta le sette stanze inquinate di sangue. In abiti moderni Judit e Barbablù, rispettivamente Andrea Meláth e István Kovács, interpretano il dramma con forte carica teatrale e, specialmente per la protagonista, spessore vocale. Lo stesso dicasi per Valérie Condoluci nei panni di Andromède, la migliore di un ristretto cast comunque dignitoso e mai sgraziato. L'ambiente scelto per l'opera di Ibert si risolve in un'isoletta circondata da un cielo azzurro con nuvolette alla Magritte, su cui si erge uno scoglio alberato: scene semplici ma di particolare eleganza, dove la mimica adottata dai cantanti riporta ad un'atmosfera che richiama il cinema d'inizio Novecento, colorato però da musica di raffinata leggerezza che il pubblico ha potuto apprezzare nel miglior modo possibile.
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