La solitudine di Káta

Buona messa in scena, essenziale ma efficace, dell'opera di Janácek alla Staatsoper di Berlino.

Recensione
classica
Staatsoper Unter den Linden Berlino
Leos Janacek
22 Gennaio 2005
Káta Kabanová non sarà forse un capolavoro assoluto ma è certamente un'opera interessante, eseguita molto di rado. L'intreccio originario del dramma di Ostrovskij (l'Uragano) è stato ridotto da Janácek a pochissime scene: Káta, oppressa da una suocera tiranna e una società bigotta, tradisce il marito, poi confessa e si suicida gettandosi nel Volga. Alla semplicità del libretto si adeguata la nuova produzione della Staatsoper di Berlino: la scena è molto spoglia, mentre Káta è in pratica sempre presente, seduta su una gracile sedia bianca in un angolo isolato del palcoscenico. Una grossa parete, che all'inizio delimita lateralmente la scena, compie un lento e ininterrotto movimento rotatorio fino a occupare l'intero palco, lasciando solo il posto alla sedia della protagonista. In questo modo la regia di Micheal Thalheimer mette sempre più in risalto la figura di Káta e il suo solitario tentativo, destinato a fallire, di ribellarsi alle regole del mondo opprimente che la circonda. Suggestivo ed efficace il momento del suicidio, quando l'intera orchestra emerge dalla buca, Káta con un solo passo si confonde tra gli strumenti e infine l'orchestra riscende. Se alcuni spettatori hanno contestato la staticità della regia, approvazione unanime ha incontrato la prova dei cantanti: Melanie Diener è stata una Káta particolarmente espressiva e padrona delle parte, se si eccettuano sporadiche sbavature nei cambi di registro. Tra i comprimari merita una menzione il giovane tenore slovacco Pavol Breslik (nella parte di Kudrjasch). Attenta – anche se forse in alcuni passaggi si potevano curare di più le dinamiche – la direzione di Julien Salemkour, chiamato a sostituire l'indisposto Michael Gielen. La Staatskappelle Berlin è una grande orchestra e lo ha ancora dimostrato.

Direttore: Gielen

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