Vedova in allegria

Recensione
classica
Teatro Brancaccio Roma
Franz Lehár
18 Maggio 2002
Come mettere in scena una "Vedova allegra" in un politeama dall'acustica problematica e senza adeguata fossa per l'orchestra? Gino Landi maestro di vistosi allestimenti televisivi ma anche di un teatro leggero di vivida fantasia - ha proposto al Brancaccio una soluzione molto discussa e molto sofferta, ma alla fine plausibile e plaudibile. Ha schierato l'orchestra sul palcoscenico, spostando l'azione al proscenio e colmando tutti gli spazi possibili (complice l'estro di William Orlandi, scenografo e costumista) con elementi mobili ed invenzioni sorprendenti: il tutto in un caleidoscopio di colori entro un grandioso boccascena liberty e in un tripudio di luci degne di uno spettacolo al Lido o chez-Maxim. Dove appunto converge di fatto l'azione dell'operetta, che in fondo è tutta una "festosa" scatola a sorpresa: un festa nel primo, una festa in costume nel secondo, una festa (e che festa, nell'ottica coreografica di Landi!) nel terzo atto. Sirene della danza e luci del varietà, dunque, ma anche movimento, profusione di effetti e festa per gli occhi, abilmente amministrata e attinta alla grafica figurata dell' art-nouveau. Il problema era conciliare questa festa della vista con un ascolto altrettanto festoso. E per la compagnia, cantare con orchestra e direttore alle spalle, è anomalia non inedita (ricordo una Salome all'aperto e niente male) ma estremamente insidiosa. Il Teatro dell'Opera l'ha risolta adottando, come nel musical, una sobria amplificazione personalizzata: un rischio, ma anche un modo per rendere più naturale e percettibile il testo e più equilibrati i piani sonori. Se poi la protagonista ha la classe raffinata, la souplesse espressiva , la delicatezza di fraseggio di Daniela Mazzucato, persino la tecnologia diventa risorsa squisitamente musicale. Ne trae pieno profitto quello charmeur, simpatico e autorevole, che è il Danilo di Alessandro Safina. E Max René Cosotti può cesellare e "porgere" le più voluttuose seduzioni tenorili di Camillo, per una seducente Donata Lombardi D'Annunzio, radiosa Valencienne. In un cast brillantissimo di caratteristi capeggiato con sapida vigorìa vocale da Alberto Rinaldi nel ruolo del Barone Zeta e in quello di Njegus- da un Leo Gullotta vispo e gustoso come un folletto. Tiene bene le fila musicali (lasciandosi anche coinvolgere nell'azione) il giovane direttore Christopher Franklin; mentre il coro preparato da Andrea Giorni offre contributi di suasiva partecipazione. Il resto lo fanno le spumeggianti coreografie di Landi, specie nel lungo pastiche offenbachiano del terzo atto: nell' eccellente corpo di ballo tre formidabili solisti portano a incandescenza le accoglienze del pubblico, al quale l'Opera, con Vedova e Lady in the Dark, regala un maggio all'insegna della Leggerezza e del divertimento intelligente.

Interpreti: Daniela Mazzucato, Alessandro Safina, Max René Cosotti, Leo Gullotta, Alberto Rinaldi, Donata Lombardi D'Annunzio

Regia: Gino Landi

Scene: William Orlandi

Costumi: William Orlandi

Coreografo: Gino Landi

Orchestra: Orchestra del Teatro dell'Opera

Direttore: Christopher Franklin

Maestro Coro: Andrea Giorgi

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