Dopo quello veneziano, circa tre settimane or sono, il "Big Bang Circus" della collaudata ditta Ambrosini & Cappelletto ha affrontato alla sala Tripcovich un pubblico triestino che, a parte le immancabili defezioni durante la rappresentazione, ha seguito con attenzione questa "Piccola storia dell'Universo" tutta condotta sul sottile filo di un'alchimia tra luci, suoni e recitazione; un debutto giocato tra le due sponde dell'alto Adriatico, per uno spettacolo che è stato coprodotto dalla Biennale di Venezia e dalla Fondazione Teatro Lirico "G. Verdi". Claudio Ambrosini e Sandro Cappelletto si sono inventati nientemeno che un circo - forse più un baraccone di quelli che giravano nei paesi con tanto di imbonitore delle folle - per raccontare, esplorare, reinterpretare i miti, le cosmogonie, le teorie e le credenze riguardanti l'origine dell'uomo, della vita, dell'universo stesso raffigurato in quel momento primordiale che la scienza ci ha consegnato col nome di "big bang". E come accade in ogni circo degno di tale nome, ecco che diversi sono stati i 'numeri' proposti, una successione di quadri dove le visioni della creazione tratte dalla mitologia, quelle prese dalle religioni e quelle suggerite da filosofi e scienziati si sono alternate, apparse e scomparse improvvisamente, sono state oggetto di elogio o di derisione da parte del presentatore, finendo tuttavia col trovare un misterioso elemento comune che le legava, quasi una sorta di forza di coesione che le manteneva in equilibrio l'una rispetto alle altre, in analogia con le leggi del mondo celeste e di quello subatomico. In particolare la scrittura musicale di Ambrosini si è fatta carico di ricreare un immaginario crogiuolo, dal quale usciva una materia sonora comune a tutte le scene, pronta comunque a modellarsi alle esigenze di una misteriosa dea progenitrice, di un inquietante androgino, di un Giordano Bruno avvolto dalle fiamme, o di un redivivo Einstein che declama versi latini. Nella plasticità strumentale dell'eccellente Ex Novo Ensemble diretto da Marcello Panni e nella stupenda agilità vocale del soprano Sonia Visentin il linguaggio di Ambrosini ha trovato i momenti di più alta realizzazione, viaggiando tra reminescenze di Nono e Ligeti - oseremmo dire anche di Schönberg - e l'estemporaneità dei suoni prodotti in modo non tradizionale. Sicuramente apprezzabili sia la regia, essenziale ma di forte impatto espressivo, di Christine Dormoy sia l'apporto di Alvise Vidolin, il quale ha curato la regia del suono e gli effetti elettronici che progressivamente finiscono col dominare la scena conclusiva. E ancora il libretto che Ambrosini ha realizzato con Cappelletto, dando prova di bizzarria creativa nel ricombinare il mare di citazioni che dominano nel testo, anche se in qualche momento è sembrato che lo spettacolo si reggesse sulle spalle del solo presentatore, evidentemente chiamato anche a compiti di equilibrista. Sincero a fine spettacolo l'applauso del pubblico della Tripcovich che tuttavia è sembrato, immediatamente dopo, più desideroso di guadagnare l'uscita che di meditare sull'origine dell'universo.
Note: Coproduzione La Biennale di Venezia- Fondazione Teatro Lirico "Giuseppe Verdi"
Interpreti: Sonia Visintin, Paola Seno, Leonardo De Lisi, Abramo Rosalen, Marco Zannoni, Sandro Cappelletto
Regia: Christine Dormoy
Scene: Philippe Marioge
Costumi: Stefania Battaglia
Orchestra: Orchestra Ex Novo Ensemble
Direttore: Marcello Panni