Da Verdi a Shakespeare

Anthony Michaels-Moore e Maria Guleghina forniscono una imponente interpretazione del Macbeth di Verdi nella produzione squisitamente teatrale di Philida Lloyd

Recensione
classica
Royal Opera House (ROH) Londra
Giuseppe Verdi
13 Giugno 2002
Una stanza di un castello le cui pareti sono costituite da uniformi pannelli quadrati che nascondono passaggi segreti, un letto matrimoniale che alla fine del terzo atto si divide in due singoli, a rappresentare la rottura del rapporto tra i due protagonisti, ed un trono che è una gabbia dorata: questi sono i tre elementi principali della nuova produzione di Phyllida Lloyd del Macbeth di Verdi, una produzione per il resto minimalista e scura, in cui pochi elementi di colore (l'oro a rappresentare la regalità, il rosso del sangue) sono usati in forte contrasto con l'uniforme grigiore della scena unica ed il nero dei costumi. La parete di fondo della scena si apre a tratti rivelando un cielo cupo, che rinforza il senso di claustrofobia nella stanza del castello, secondo necessità camera da letto dei Macbeth, ingresso, sala dei banchetti: le scene di Anthony Ward poco concedono alle richieste di un dramma che fin dalla produzione originale presentava considerevoli difficoltà tecniche, con i suoi castelli, le sue streghe, le sue foreste, le scene di battaglia e le apparizioni. Lloyd risolve questi problemi con un uso squisitamente teatrale dello spazio, su cui si muovono cantanti, ballerini, attori, e con l'ausilio delle luci di Paule Constable e delle coreografie di Michael Keegan-Dolan. Le streghe diventano la costante che accompagna tutto il dramma, dalla predizione iniziale fino alla morte di Macbeth: non solo sono quasi onnipresenti sul pacoscenico, ma sembrano muovere la storia verso il suo compimento, introducendo Duncan, salvando il figlio di Banco, aprendo e chiudendo porte. Così, quando alla notizia della morte della moglie Macbeth lamenta l'inutilità della vita, sembra finalmente realizzare di essere stato come lei poco più di una marionetta all'interno di questo gioco che appartiene a qualcun altro. E' una lettura fortemente teatrale che riconduce Verdi a Shakespeare, e non sarebbe stata possibile senza cantanti di forte presenza scenica e caratura drammatica: Anthony Michaels-Moore è un Macbeth imponente, che riempe il palcoscenico, e che rivela i diversi lati del carattere, la debolezza, l'ambizione, la crudeltà, l'arroganza e la definitiva fragilità, mantenendo un'unità di fondo che lo rendono perfettamente credibile, in una performance vocale in cui lo sviluppo del personaggio è perfettamente calibrato. Alaistair Miles è un Banquo di lusso, dal tono ricco ed allo stesso tempo tagliente, ineccepibile nel fraseggio; il giovane tenore tedesco Will Hartmann è un Macduff intenso e dal tono dolce, che usa con grande effetto nella romanza del quarto atto, e Peter Auty è incisivo nei panni di Malcom. La serata però appartiene alla Lady Macbeth di Maria Guleghina, forte e drammatica quanto vocalmente ricca di colore e dinamiche: non c'è nulla di diabolico nel suo personaggio, anzi ne è la disperata umanità che ne viene messa in evidenza, nel suo vano desiderio di potere che si risolve in nulla, e che alla fine, dopo un'intensa intepretazione di 'Una macchia' in cui si rivela tutta la fragilità del personaggio, la conduce alla follia e al suicidio. Forse la parte meno soddisfacente della serata è la direzione musicale di Simone Young, che accompagna i cantanti con grande liberalità e dirige con grande energia, ma produce una lettura scarsa di sottigliezze, con fraseggi orchestrali a volte squadrati e che tendono a cadere nello stereotipo, e con una scelta di tempi che a volte non aiuta l'altrimenti eccellente coro della Royal Opera House.

Interpreti: Michaels-Moore, Miles / Schrott, Guleghina, Woollett, Berti, Auty

Regia: Phyllida Lloyd

Scene: Anthony Ward

Coreografo: Jonathan Lunn

Orchestra: Orchestra della Royal Opera House

Direttore: Simone Young

Coro: Coro della Royal Opera House

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