Unni, ma con grazia
Mark Elder conferma la sua fama di interprete verdiano con una rinfrescante lettura pensata fino all'ultima semicroma.
Recensione
classica
È difficile dire se il proliferare di produzioni di Attila, un'opera che non è mai stata particolarmente popolare nel repertorio, sia dovuta all'anniversario Verdiano, o piuttosto alla presenza di cantanti che desiderano affrontare gli esigenti ruoli principali. Quale che sia la ragione, anche la Royal Opera House ha voluto rispolverare per questa stagione la produzione di Elijah Moshinsky, inizialmente originata nel 1990 per Ruggero Raimondi. Attila è una di quelle opere che può costituire un vero incubo per un regista: ogni scena si svolge in luoghi completamente diversi (tra cui Aquileia, Venezia, le porte di Roma), e include anche una scena di temporale ed un banchetto. Moshinsky quindi opta, e con successo, per la stilizzazione, con panelli che si muovono sia verticalmente che orizzontalmente a delineare geometrie nette ed a consentire veloci cambi di scena, fungendo poi da cornice ai tableaux corali, che spesso si svolgono su di un palcoscenico quasi spoglio. Così il bosco è evocato dalla proiezione di un'albero stilizzato, e Roma è una miniatura vista in distanza, ma non mancano tuttavia momenti visualmente più ricchi, come il banchetto alla fine del secondo atto. Il ruolo del protagonista è affidato al giovanissimo basso bulgaro Orlin Anastassov, la cui presenza scenica è indiscutibile, ma che forse non ha ancora la presenza vocale per imporre questo re al di sopra degli altri protagonisti: il suo è un Attila quasi fin troppo nobile e contenuto, che rinforza l'ambiguità di questo carattere che dovrebbe essere un despota e che in realtà si rivela una vittima della propria generosità. Più imponente è l'Ezio di Anthony Michaels-Moore, in grande forma vocale, la cui dizione perfetta e grande musicalità hanno rinforzato l'impatto quasi elettrico della cabaletta del secondo atto. Maria Guleghina è una Odabella di grande potenza, ben adatta al ruolo dell'amazzone, e che domina la scena: la voce acquista poi in colore e dolcezza nel lamento all'inizio del primo atto, sebbene vi siano alcune difficoltà a controllare uno strumento non naturalmente portato a dinamiche delicate. Nonostante non fosse sempre possibile capire il testo, la forza drammatica non lasciava dubbi sulle intenzioni, ed il soprano ha fornito un ritratto a tutto tondo di questo personaggio conteso tra il desiderio di vendetta, la promessa a Foresto (il tenore americano Franco Farina), e l'ambiguo rapporto con Attila. Il vero trionfatore della serata è stato però Mark Elder, che ha confermato la fama di essere probabilmente il miglior direttore verdiano in circolazione. Il suo approccio alla partitura è di una leggerezza donizettiana, con grande enfasi ritmica e ricchezza di particolari: ogni nota è al suo posto, ogni nota ha significato, ed è evidente che questa è una esecuzione pensata fino all'ultima semicroma. Una grande flessibilità con i tempi (in particolare nella cabaletta del tenore nel prologo, 'Cara patria', rallentata nella sezione in minore e quindi portata alla conclusione con un accelerando ben calibrato), ed un uso rinfrescante del ritenuto ha dato grande enfasi drammatica e consistenza a quella che sicuramente non è tra le più grandi partiture verdiane, ma le cui pagine minori non hanno sofferto, acquistando significato all'interno dello sviluppo narrativo. L'orchestra della Royal Opera House ha sfoggiato una ricchissima palette timbrica, ed in particolare gli archi hanno prodotto colori consistentemente cangianti a seconda della situazione drammatica; il coro della Royal Opera House ha risposto alla direzione di Elder con varietà dinamica ed entusiasmo. Una delizia!
Interpreti: Anastassov/Burchuladze, Michaels-Moore, Guleghina, Farina, Leggate, Broadbent
Regia: Elijah Moshinsky
Scene: Michael Yeargan
Costumi: Robert Bryan
Orchestra: Orchestra della Royal Opera House
Direttore: Mark Elder
Coro: Coro della Royal Opera House
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