E' difficile trovare un'opera per cui l'aggettivo "epico" sia più adeguato che nel caso di Guerra e pace di Prokofiev, e non solo per quanto riguarda il soggetto: un'adattamento scenico del capolavoro di Tolstoi non poteva certo prestare riguardo alle unità aristoteliche di tempo, luogo ed azione, ma in questo caso specifico ci troviamo di fronte ad una narrazione che nel seguire le vicissitudini dei personaggi principali per tre anni vede tra l'altro due balli, due battaglie e l'incendio di Mosca, con un cast che richiede oltre cinquanta solisti ed una partitura che, eseguita nella versione integrale, dura circa quattro ore. In realtà il progetto originale del compositore, uomo di teatro e più rispettoso della saggezza classica, riguardava solamente la storia d'amore di Natasha e Andrei: ispirato principalmente da una vicenda personale (la storia d'amore con Mira Mendelson, una giovane scrittrice che diventerà la sua seconda moglie), Prokofiev vedeva il lavoro anche come un omaggio alla tradizione operistica russa, in particolare all'Eugene Onegin di Ciaikovski. Tuttavia un soggetto tanto individualista non poteva certo soddisfare le esigenze estetico-ideologiche del regime stalinista, ed il tortuoso processo compositivo dell'opera vede ben quattro versioni (con l'aggiunta di sei scene alle otto originali) prima dell'approvazione del lavoro quale degno monumento alla gloria sovietica. Nel frattempo, l'invasione napoleonica del 1812 aveva acquistato un'aura di contemporaneità, alla luce dell'invasione tedesca del 1941, ed il lavoro da trasposizione letteraria diviene un inno alla resistenza, in cui il vero protagonista è il popolo russo. Questa relativa contemporaneità è la chiave di lettura adottata da Tim Albery nella nuova produzione del lavoro all'English National Opera: il coro in abiti "moderni" sembra guardare allo svolgimento dell'azione come ad una lezione di storia, uno spaccato di realismo socialista in cui la rivisitazione della gloria del passato funge da esempio per la gloria del presente. Dal punto di vista della messa in scena, questa idea giustifica la costante presenza del coro, che viene così utilizzato per i cambi di scena, consentendo lo svolgersi dell'azione senza soluzione di continuità, un vantaggio non indifferente in un lavoro di queste dimensioni ed il cui ritmo narrativo è al meglio discontinuo. Albery e la scenografa Hildegard Bechtler riproducono il paesaggio russo con una serie di gigantografie, e particolarmente riuscito è l'utilizzo di proiezioni filmate per ricreare prima la battaglia di Borodino, e quindi l'incendio di Mosca, una soluzione che appare ideale alla luce della collaborazione di Prokofiev con Eisenstein, per il cui Alexander Nevsky aveva scritto la colonna sonora, e la cui scala epica può aver influenzato alcuni aspetti dell'opera. Nonostante le obiettive difficoltà di messa in scena, la crescente popolarità del lavoro è pienamente giustificata da una partitura ricca di colore e di inventiva melodica, di cui l'orchestra ed il coro dell'ENO hanno fornito una lettura convincente, anche se forse dinamicamente monotona. Tra gli innumerevoli solisti, John Daszak da vita ad un Pierre pieno di umanità e vocalmente irreprensibile, specialmente per chiarezza di dizione, e Simon Keenlyside è un memorabile Andrei, ma tra tutti emerge per presenza vocale e scenica il Kutuzov di Willard White, che in uno dei numeri principali del lavoro, l'inno a Mosca, sembra essere l'unico a cogliere in essenza il tono semplice e popolareggiante del linguaggio profondamente russo di Prokofiev.
Interpreti: Keenlyside, Chilcott, Daszak, Marshall, Parry, White, Sidhom, Shore, Wyn-Rogers, Howell, Graham-Hall, Pont-Davies
Regia: Tim Albery
Scene: Hildegard Bechtler
Costumi: Ana Jebens
Coreografo: Vanessa Grey
Orchestra: Orchestra dell'English National Opera
Direttore: Paul Daniel
Coro: Coro dell'English National Opera