Utrecht atto secondo
Dal cembalo ai carillons di campane
Recensione
classica
Nel ricchissimo programma del Festival di Musica Antica di Utrecht si è svolto un symposium internazionale curato da Avery Gosfield e dedicato alle musiche del mondo ebraico. L'incontro e il dialogo tra studiosi e musicisti è culminato il 1° settembre, quando è stato possibile ascoltare l'ensemble Lucidarium che ha cercato di immaginare, a cinquecento anni dalla creazione del Ghetto, quali potessero essere le musiche che circolavano e venivano adattate dalla composita comunità di ebrei provenienti da diverse parti del Mediterraneo e d’Europa. Con garbo e ironia, grazie anche al talento di Enrico Fink, il gruppo ha rievocato il decreto del Senato della Repubblica di Venezia del 1516, insieme a passi della autobiografia di Leon Modena, intonando canti religiosi e profani. La rievocazione della data di istituzione del ghetto si è poi conclusa con la proiezione del film muto del 1920 di Paul Wegener, Golem, accompagnato da una selezione di musiche pianistiche di diversi compositori del XIX secolo, eseguite dalla versatile Olga Pashchenko, il cui talento è stato ampiamente sfruttato grazie al suo ruolo di artista residente di questa edizione.
Il rapporto della Repubblica di Venezia con il mondo Adriatico e più in generale mediterraneo, è stato ben rappresentato da un interessante concerto dell'ensemble Cappella Romana, diretto da Alexander Lingas, centrato sulla presenza del canto liturgico bizantino e sulle affinità fra i riti pasquali in greco e in latino, a differenza dell'ambizioso tentativo di raccontare mille anni della città lagunare di Jordi Savall, con quattro ensembles, di cui uno ortodosso-bizantino, e quattro solisti in rappresentanza del mondo arabo, greco, turco e armeno. Nella pausa fra i due tempi, con una gigantesca torta e un Happy Birthday intonato dal pubblico, è stato festeggiato il suo settantacinquesimo compleanno, ma questa cerimonia ne ha ulteriormente sovraccaricato la durata, anche perché nella seconda parte era inoltre inserito il Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi, già al centro del breve ma intenso concerto dell'ensemble Cantar Lontano, programmato sia prima che dopo il concerto del millennio. Nonostante l'adorazione del pubblico, il paragone così ravvicinato non ha certo giovato al famoso e abile artefice di programmi magniloquenti, che debordando anche con i bis ha conseguentemente penalizzato tutto quello che seguiva, compreso il concerto frottolistico e liutistico dedicato a Francesco Bosniaco proposto da Roberta Mameli ed Eduardo Egüez, previsto per mezzanotte ed iniziato con oltre mezz'ora di ritardo. Ma questa è una eccezione, poiché tutto si è svolto con la consueta massima puntualità. Il pubblico non solo arrivava in anticipo, ma ha sempre accolto generosamente tutte le proposte artistiche, dalle più difficili e complesse alle più sgangherate. Anche se queste sono molto rare per la verità, la rivisitazione delle quattro stagioni vivaldiane ne ha offerto un esempio congegnato. Ars Antiqua Austria le ha maltrattate sfalsandone le dinamiche e grattando sulle corde nella esagerata accentazione dell'accompagnamento, e Gunar Letzbor minimizzando a tratti la parte solistica del violino le ha trasformate in una sagra dal forte accento austriaco. Con la sua ironia buontempona ha raccontato di essersi stupito per aver ricevuto la richiesta di suonarle da parte della direzione del Festival, con tanti gruppi italiani a disposizione, e che questa sarebbe stata la prima e probabilmente anche l'ultima volta, ma in realtà il gruppo le ha incise e pubblicate e che piaccia o no questo annuncio faceva parte del gioco.
Niente di nuovo dalla antologia delle arie di Cavalli proposta da L'Arpeggiata, nonostante il suggestivo titolo "L'amore innamorato", se non la gag, per fortuna posta come bis, dell'acrobatico controtenore e b-boy Jakub Józef Orlińsky, al quale è stata affidata una sola aria, rispetto alle nove di Nuria Rial, che si è però potuto esibire in un salto mortale e in una breakdance hip-hop, strappando grida da parte del pubblico sorpreso e stupito dalla inaspettata agilità del cantante. Per consuetudine l'ora e il luogo destinati al clavicembalo, le ore 13 nella Lutherse Kerk, erano riservati ad un pubblico ristretto e più attento alla sostanza delle proposte artistiche. Molti gli artisti italiani anche in questa sezione, con Marco Mencoboni che ha dedicato il suo concerto a Claudio Merulo, Rinaldo Alessandrini ai Gabrieli, Francesco Corti a Galuppi, proposto poi anche nel concerto mottetistico dei Musiciens du Louvre di cui è direttore, e Luca Guglielmi al quale è stata affidata una copia del "gravecembalo col piano, e forte" di Bartolomeo Cristofori del 1726, costruita da Kerstin Schwarz nel 1997. Il delizioso suono dello strumento inventato dal geniale cembalaro padovano, non solo ha ben rappresentato la transizione dal clavicembalo al pianoforte con echi del primo e anticipazioni dell'altro, ma con le musiche di Platti, Galuppi e Luchesi attivi a Venezia e poi in differenti città europee, anche il passaggio dalla enfasi del periodo Barocco alla sensibilità di quello Classico.
La musica vocale e strumentale della scuola veneziana è stata proposta da numerosi gruppi, fra i quali Il Suonar Parlante, Concerto Madrigalesco, Capriccio Stravagante e Vox Luminis, e l'ottimo Ensemble Correspondance, che in alcuni casi ha distribuito i musicisti anche sui due lati in alto della Grande Sala ottagonale del Tivoli Vredenburg, ricreando la disposizione dei cori spezzati anche per esponenti della scuola romana. Ma fra la marea di concerti presenti nel fittissimo programma del Festival restano impressi nella memoria soprattutto i momenti più intimi e profondi suggeriti dalla musica puramente vocale e dal talento del maestro per eccellenza della scuola veneziana, Adrian Willaert, senza dimenticare la dimensione spirituale evocata dal programma proposto dall'Ensemble Gilles Binchois, dedicato ai tropi del repertorio gregoriano intonato nella Basilica di san Marco, contenuti in un manoscritto custodito a Berlino. La messa parodia Quaeramus cum pastoribus di Willaert, sul mottetto omonimo di Jean Mouton, e i mottetti di Cipriano de Rore, di una straordinaria bellezza che fiorisce dal virtuosismo della scrittura canonica, proposti da Officium Ensemble sono stati accolti da lunghissimi applausi finali nella Pieterskerk, così come i mottetti di Willaert e Desprez intonati attorno ad un badalone, il grande leggio ligneo posto al centro del coro, e con copie dei manoscritti con la notazione antica, da Cappella Pratensis nella Jacobikerk. E ancora Rore e la messa Praeter rerum seriem, oltre al suo straordinario mottetto Calami sonus ferentes, e Willaert nel concerto di Huelgas Ensemble che si è svolto in un clima di profondo raccoglimento nel Duomo di Utrecht nell'ultimo giorno del Festival. Il passaggio dalla soavità del programma dell’ensemble diretto da Paul van Nevel, un vero e proprio balsamo, alla scossa della frenetica esecuzione nella Grande Sala del Tivoli Vredenburg del celebre Gloria di Vivaldi, fatta da Le Concert Spirituel diretto da un istrionico e quasi spiritato Hervé Niquet, è stato molto brusco; ma nonostante queste siano state le note conclusive della edizione veneziana del Oude Muziek Festival, prevale il benessere del ricordo delle voci che hanno accarezzato l’udito degli ascoltatori nel Duomo.
P.S. Ci sarebbe da scrivere un romanzo per ciascuna edizione, ma non si può tralasciare la musica, fuori le mura delle sale da concerto e delle chiese, dei concerti a tema dei carrilloneurs irradiati dalla Torre del Duomo durante il Festival, e la storia di Jacob van Eyck, l'Orfeo di Utrecht, legata alla origine dei concerti di campane così importanti nei Paesi Bassi. Con una originale performance a lui dedicata si è svolto un passaggio di consegne e un dialogo fra la musica antica e l’improvvisazione e l'elettronica che a mezzogiorno dell’ultimo giorno del Festival ha inaugurato la nuova stagione culturale della vivace città olandese, e che sarà ripresa e ampliata domenica prossima. Ma di tutto questo vi riferiremo nel prossimo resoconto.
Il rapporto della Repubblica di Venezia con il mondo Adriatico e più in generale mediterraneo, è stato ben rappresentato da un interessante concerto dell'ensemble Cappella Romana, diretto da Alexander Lingas, centrato sulla presenza del canto liturgico bizantino e sulle affinità fra i riti pasquali in greco e in latino, a differenza dell'ambizioso tentativo di raccontare mille anni della città lagunare di Jordi Savall, con quattro ensembles, di cui uno ortodosso-bizantino, e quattro solisti in rappresentanza del mondo arabo, greco, turco e armeno. Nella pausa fra i due tempi, con una gigantesca torta e un Happy Birthday intonato dal pubblico, è stato festeggiato il suo settantacinquesimo compleanno, ma questa cerimonia ne ha ulteriormente sovraccaricato la durata, anche perché nella seconda parte era inoltre inserito il Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi, già al centro del breve ma intenso concerto dell'ensemble Cantar Lontano, programmato sia prima che dopo il concerto del millennio. Nonostante l'adorazione del pubblico, il paragone così ravvicinato non ha certo giovato al famoso e abile artefice di programmi magniloquenti, che debordando anche con i bis ha conseguentemente penalizzato tutto quello che seguiva, compreso il concerto frottolistico e liutistico dedicato a Francesco Bosniaco proposto da Roberta Mameli ed Eduardo Egüez, previsto per mezzanotte ed iniziato con oltre mezz'ora di ritardo. Ma questa è una eccezione, poiché tutto si è svolto con la consueta massima puntualità. Il pubblico non solo arrivava in anticipo, ma ha sempre accolto generosamente tutte le proposte artistiche, dalle più difficili e complesse alle più sgangherate. Anche se queste sono molto rare per la verità, la rivisitazione delle quattro stagioni vivaldiane ne ha offerto un esempio congegnato. Ars Antiqua Austria le ha maltrattate sfalsandone le dinamiche e grattando sulle corde nella esagerata accentazione dell'accompagnamento, e Gunar Letzbor minimizzando a tratti la parte solistica del violino le ha trasformate in una sagra dal forte accento austriaco. Con la sua ironia buontempona ha raccontato di essersi stupito per aver ricevuto la richiesta di suonarle da parte della direzione del Festival, con tanti gruppi italiani a disposizione, e che questa sarebbe stata la prima e probabilmente anche l'ultima volta, ma in realtà il gruppo le ha incise e pubblicate e che piaccia o no questo annuncio faceva parte del gioco.
Niente di nuovo dalla antologia delle arie di Cavalli proposta da L'Arpeggiata, nonostante il suggestivo titolo "L'amore innamorato", se non la gag, per fortuna posta come bis, dell'acrobatico controtenore e b-boy Jakub Józef Orlińsky, al quale è stata affidata una sola aria, rispetto alle nove di Nuria Rial, che si è però potuto esibire in un salto mortale e in una breakdance hip-hop, strappando grida da parte del pubblico sorpreso e stupito dalla inaspettata agilità del cantante. Per consuetudine l'ora e il luogo destinati al clavicembalo, le ore 13 nella Lutherse Kerk, erano riservati ad un pubblico ristretto e più attento alla sostanza delle proposte artistiche. Molti gli artisti italiani anche in questa sezione, con Marco Mencoboni che ha dedicato il suo concerto a Claudio Merulo, Rinaldo Alessandrini ai Gabrieli, Francesco Corti a Galuppi, proposto poi anche nel concerto mottetistico dei Musiciens du Louvre di cui è direttore, e Luca Guglielmi al quale è stata affidata una copia del "gravecembalo col piano, e forte" di Bartolomeo Cristofori del 1726, costruita da Kerstin Schwarz nel 1997. Il delizioso suono dello strumento inventato dal geniale cembalaro padovano, non solo ha ben rappresentato la transizione dal clavicembalo al pianoforte con echi del primo e anticipazioni dell'altro, ma con le musiche di Platti, Galuppi e Luchesi attivi a Venezia e poi in differenti città europee, anche il passaggio dalla enfasi del periodo Barocco alla sensibilità di quello Classico.
La musica vocale e strumentale della scuola veneziana è stata proposta da numerosi gruppi, fra i quali Il Suonar Parlante, Concerto Madrigalesco, Capriccio Stravagante e Vox Luminis, e l'ottimo Ensemble Correspondance, che in alcuni casi ha distribuito i musicisti anche sui due lati in alto della Grande Sala ottagonale del Tivoli Vredenburg, ricreando la disposizione dei cori spezzati anche per esponenti della scuola romana. Ma fra la marea di concerti presenti nel fittissimo programma del Festival restano impressi nella memoria soprattutto i momenti più intimi e profondi suggeriti dalla musica puramente vocale e dal talento del maestro per eccellenza della scuola veneziana, Adrian Willaert, senza dimenticare la dimensione spirituale evocata dal programma proposto dall'Ensemble Gilles Binchois, dedicato ai tropi del repertorio gregoriano intonato nella Basilica di san Marco, contenuti in un manoscritto custodito a Berlino. La messa parodia Quaeramus cum pastoribus di Willaert, sul mottetto omonimo di Jean Mouton, e i mottetti di Cipriano de Rore, di una straordinaria bellezza che fiorisce dal virtuosismo della scrittura canonica, proposti da Officium Ensemble sono stati accolti da lunghissimi applausi finali nella Pieterskerk, così come i mottetti di Willaert e Desprez intonati attorno ad un badalone, il grande leggio ligneo posto al centro del coro, e con copie dei manoscritti con la notazione antica, da Cappella Pratensis nella Jacobikerk. E ancora Rore e la messa Praeter rerum seriem, oltre al suo straordinario mottetto Calami sonus ferentes, e Willaert nel concerto di Huelgas Ensemble che si è svolto in un clima di profondo raccoglimento nel Duomo di Utrecht nell'ultimo giorno del Festival. Il passaggio dalla soavità del programma dell’ensemble diretto da Paul van Nevel, un vero e proprio balsamo, alla scossa della frenetica esecuzione nella Grande Sala del Tivoli Vredenburg del celebre Gloria di Vivaldi, fatta da Le Concert Spirituel diretto da un istrionico e quasi spiritato Hervé Niquet, è stato molto brusco; ma nonostante queste siano state le note conclusive della edizione veneziana del Oude Muziek Festival, prevale il benessere del ricordo delle voci che hanno accarezzato l’udito degli ascoltatori nel Duomo.
P.S. Ci sarebbe da scrivere un romanzo per ciascuna edizione, ma non si può tralasciare la musica, fuori le mura delle sale da concerto e delle chiese, dei concerti a tema dei carrilloneurs irradiati dalla Torre del Duomo durante il Festival, e la storia di Jacob van Eyck, l'Orfeo di Utrecht, legata alla origine dei concerti di campane così importanti nei Paesi Bassi. Con una originale performance a lui dedicata si è svolto un passaggio di consegne e un dialogo fra la musica antica e l’improvvisazione e l'elettronica che a mezzogiorno dell’ultimo giorno del Festival ha inaugurato la nuova stagione culturale della vivace città olandese, e che sarà ripresa e ampliata domenica prossima. Ma di tutto questo vi riferiremo nel prossimo resoconto.
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