Scala d'Arabia?

Polemiche per i finanziamenti dall'Arabia Saudita

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Il Teatro alla Scala
Il Teatro alla Scala

Molto parlare e scrivere in questi giorni attorno all'ipotesi che un rappresentante dell'Arabia Saudita apporti alla Scala un finanziamento di quindici milioni. Lo statuto del teatro prevede infatti che per essere socio fondatore si debbano versare sei milioni, mentre per accedere al cda si facciano ulteriori versamenti per cinque anni. Pereira stesso ha illustrato alla stampa com'è nato il progetto. Tutto è partito l'anno scorso dall'entourage del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana; all'inaugurarzioe della stagione 18/19 Pereira ha fatto poi incontrare il ministro per i Beni e attività culturali Alberto Bonisoli col principe Bader bin Abdullah, suo omologo saudita, perché parlassero della possibilità che la Scala organizzasse a Riad una baby Accademia per voci bianche, piccoli strumentisti e piccoli ballerini. Di questo pour parler il sindaco di Milano Giuseppe Sala è stato preventivamente informato. Tutto è andato liscio, finché è stato ventilato un passo successivo, vale a dire l'entrata nella stanza dei bottoni della Scala di un rappresentante del governo saudita oppure della Aramco, la compagnia nazionale saudita degli idrocarburi. Alternativa che, data la struttura di potere di quel Paese, non farebbe molta differenza, anche se un rappresentante non governativo semplificherebbe le cose perché non richiederebbe la benedizione del Ministrero degli Esteri italiano. 

 Pereira ha voluto precisare che del progetto si è discusso nell'ultimo cda scaligero, con tutti i consiglieri d'accordo sulla politica delle porte aperte, meno uno che ha sollevato una "discussione finale" su tale opportunità. Il non allineato, Francesco Micheli, in realtà non è stato affatto così vago, ma si è opposto chiaramente. Le ragioni sono più che ovvie: un'istituzione pubblica, punto di rifermento della cultura italiana nel mondo, non può andare a braccetto con un regime niente affatto democratico, responsabile dell'assassinio del giornalista Khashoggi nell'ambasciata saudita a Istambul (accusato come mandante è il principe ereditario, Mohammed bin Salman, guarda caso a capo della Aramco), con un regime che non riconosce i diritti civili delle donne, eccetera eccetera. Molte voci, più o meno note, con agomentazioni più o meno articolate, si sono poi levate contro tale accordo. Il che ha fatto sì che due autorità coinvolte, il presidente della Regione Lombardia e il sindaco di Milano, siano subito ricorsi alla formula del "necessario ulteriore approfondimento" ovvero all'atteggiamento del "vorrei e non vorrei", mentre il sovrintendente Pereira ha già aggiustato il tiro accusando la Lega (nella persona del presidente Fontana) di volerlo impallinare. Ben più chiara ed esplicita è stata Natalia Aspesi su "Repubblica" che ha ricordato come l'Arabia Saudita abbia comprato negli ultimi anni mezza Milano, come l'Italia venda da tempo armi all'Arabia Saudita destinate alla distruzione dello Yemen, aggiungendo che se proprio si volesse mercanteggiare si chiedano al principe almeno venti milioni l'anno. E lui di certo ci starebbe. In attesa di sviluppi va comunque ricordata l'affermazione dello stesso Pereira che i tre milioni annui previsti non sposterebbero di molto i conti della Scala. Allora perché tutto questo polverone? Che il sovrintendente voglia chiudere in bellezza il suo mandato in scadenza o dare un segno a quello prorogabile per altri due anni, è più che comprensibile. Ma per far cassa forse sarebbe più onesto per la Scala seguire la strada dei prestiti e degli affitti. Come il sovrintendente di Brera o degli Uffizi potrebbe benissimo prestare un paio di quadri all'Arabia Saudita senza per questo doverle offrire in cambio una poltrona nel cda del museo, così la Scala per allargare la sua fama in Medio Oriente (retorica sbadierata in questi giorni), potrebbe tranquillamente allestire a Riad delle opere ad hoc o esportarne a caro prezzo alcune già in repertorio. Senza che nessun portavoce dell'Arabia Saudita metta becco nella gestione del teatro.

Al momento sarebbe interessante sapere cosa ne pensa Riccardo Chailly.


 

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