Jazz & Wine of Peace, jazz tra passato e futuro
Dal 24 al 28 ottobre a Cormòns e dintorni, con Art Ensemble of Chicago, The Thing, Avishai Cohen, John Scofield...
L'edizione è la ventunesima, e la formula, tra concerti nelle cantine del Collio, serate a teatro, biciclettate, assaggi, brindisi e sconfinamenti nella vicina Slovenia, è ormai consolidata. Torna, dal 24 al 28 ottobre, Jazz & Wine of Peace, il festival jazz di Cormòns.
Una ventina gli appuntamenti, distribuiti lungo i cinque giorni di un programma come al solito acuto e coraggioso, all'interno del quale convivono le tante, tantissime anime della musica che un tempo fu di Monk, Ellington e Coltrane. A raccontare la complessità di un presente fatto di imprevedibili sovrapposizioni e combinazioni infinite, con gli occhi rivolti al futuro e i piedi ben piantati nella tradizione.
"Ancient to the Future", per dirla alla Art Ensemble of Chicago. Che si esibirà sabato 27 nella sua ultima incarnazione, con i veterani Roscoe Mitchell e Don Moye affiancati da Hugh Ragin (tromba), Tomeka Reid (violoncello), Jaribu Shahid (contrabbasso), Junius Paul (contrabbasso) e Dudù Kouate (percussioni) sul palco del Teatro Comunale. I tempi passano, lo spirito e la musica restano. Sempre sabato 27, ma nel tardo pomeriggio, prima della presentazione di Grande musica nera, il libro di Paul Steinbeck che racconta il mezzo secolo di vita dell'Art Ensemble (tradotto e pubblicato in Italia da Quodlibet), spazio al trio The Thing, altra formazione simbolo dell'improvvisazione più libera e spregiudicata, in pista da poco meno di vent'anni. A sparare fuoco e fiamme, ovviamente, Mats Gustafsson (sassofoni), Ingebrigt Håker Flaten (basso elettrico e contrabbasso) e Paal Nilssen Love (batteria), attesi nel salone al primo piano della cinquecentesca Vila Vipolže, appena oltre confine.
Da cerchiare in rosso anche la serata di mercoledì 24, sempre al Teatro Comunale, divisa a metà tra il quartetto del trombettista Avishai Cohen, con il fenomenale Nasheet Waits alla batteria, e il trio The Bad Plus, fresco fresco di cambio della guardia al pianoforte tra l'uscente Ethan Iverson e il subentrante Orrin Evans. Medesima location per gli altri due concerti di punta delle serate successive, con protagonisti il quartetto Combo 66 del chitarrista John Scofield, reduce dal debutto discografico nientemeno che su Verve Records, e il brasiliano Egberto Gismonti, alle prese, tra chitarra e pianoforte, con la dimensione che più di qualunque altra rende giustizia alla sua singolare poetica, quella del solo.
Per il resto, ad affollare i pomeriggi e le mattinate, tra graditi ritorni e primissime volte, ci saranno il sestetto Ghost Horse, estensione e allo stesso tempo mutazione del trio Hobby Horse di Dan Kinzelman (sax tenore e clarinetto basso), Joe Rehmer (basso elettrico) e Stefano Tamborrino (batteria), il quintetto Tell No Lies, con, tra gli altri, il sassofonista Edoardo Marraffa e il pianista Nicola Guazzaloca, i romani Roots Magic, il trio del contrabbassista norvegese Arild Andersen, il quartetto Miller's Tale, con Evan Parker (sassofoni), Mark Feldman (violino), Sylvie Courvoisier (pianoforte) e Ikue Mori (elettronica), il bassista Richard Sinclair, rampollo dal sangue blu della scena di Canterbury che ha militato, oltre che nei leggendari Wilde Flowers, nei Caravan e negli Hatfield and the North, l'XY Quartet, il trio East West Daydreams, con Alexander Balanescu (violino), Javier Girotto (sassofoni) e Zlatko Kaučič (percussioni), il contrabbassista parigino Renaud Garcia-Fons e, a tenere alto il vessillo della nuova scena londinese, il trio del batterista Yussef Dayes, che si è fatto un nome grazie all'esplosione planetaria di Black Focus, disco manifesto cofirmato con il tastierista Kamaal Williams, e gli Exodus di Moses Boyd, motore ritmico del duo Binker & Moses.
C'è di che riempirsi a dovere le orecchie.
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