Boris paghi il conto
La britannica Incorporated Society of Musicians esprime forti timori sulla sostenibilità della professione di musicista in caso di hard Brexit e chiede al governo di farsi carico dei costi che graverebbero sul settore dopo l’uscita del paese dalla UE
In Gran Bretagna continuano le prese di posizione del mondo musicale, mentre crescono i timori per una cosiddetta “hard Brexit” ossia un’uscita del paese dalla Unione Europea senza accordi fra le due parti in causa il prossimo 31 ottobre. L’Incorporated Society of Musicians (ISM) dopo aver fatto i conti di quanto graverebbe sui bilanci personali dei musicisti britannici la limitazione nella libertà di movimento oltre che di beni e servizi in un dettagliato rapporto pubblicato lo scorso maggio, ora chiede al governo britannico di farsi carico in anticipo dei costi che potrebbero risultare insostenibili per una larga parte dei professionisti di un settore fatto in gran parte di freelance con un reddito medio piuttosto basso. Fra i molti problemi del settore, l’eventualità di un hard Brexit potrebbe davvero mettere in questione la stessa sostenibilità della professione musicale per migliaia di cittadini britannici.
L’ISM ha calcolato un costo intorno alle 1000 sterline per i musicisti che viaggeranno con il loro strumento al seguito nella UE a 27 paesi. Tale cifra sarà largamente dovuta a tariffe doganali imposte per consentire il trasporto di strumenti musicali e apparecchiature tecniche per la diffusione sonora, oltre alla necessità di sottoscrivere assicurazioni per spese mediche venendo meno l’obbligo di copertura delle spese per i cittadini UE che si trovino per lavoro o turismo nei paesi dell’unione. Non va sottovalutato, inoltre, il fatto che una parte rilevante del reddito di molti musicisti britannici proviene da attività svolte nei paesi della UE, che potrebbero essere a rischio a causa dell’elevata incertezza dovuta all’hard Brexit. È assai probabile, infatti, che numerose istituzioni musicali nella UE possano essere meno propense a sottoscrivere contratti con singoli musicisti o organizzazioni musicali residenti nel Regno Unito in mancanza di certezze legali. “Ci saranno costi aggiuntivi molto significativi che graveranno sui musicisti, che, considerati i margini molto ristretti del settore, molto probabilmente non saranno in grado di sopportare,” ha dichiarato il presidente dell’ISM, il baritono Jeremy Huw Williams. Preoccupazioni cui fanno eco le parole della direttrice generale dell’ISM Deborah Annets: “La maggioranza dei musicisti non ha la capacità di assorbire i costi aggiuntivi che si dovrebbero accollare nell’eventualità di una Brexit senza accordo, come ad esempio le tasse sui visti. Tali costi sarrebero insostenibili per la gran parte di musicisiti freelance con un reddito medio di circa 20 mila sterline l’anno. Sarebbero semplicemente non in grado di destinare fino al 5% dei loro introiti in spese legate alla Brexit.” Da qui l’appello di Williams al governo guidato da Boris Johnson: “Sollecitiamo il governo a coprire interamente tali costi prima del 31 ottobre o, come minimo, a fornire un piano per compensare in pieno l’aggravio dei costi nei tre anni che seguiranno l’uscita del Regno Unito dalla UE.”
La ISM è una associazione britannica non-profit il cui obiettivo è la promozione dell’importanza della musica e la difesa dei diritti di coloro che hanno scelto la musica come professione. Fondata nel 1882, la ISM vanta oltre 8000 membri individuali e 160 istituzioni fra i propri iscritti. Nel rapporto ISM citato, si stima in circa 4,5 miliardi di sterline il contributo al PIL del Regno Unito dell’industria musicale britannica, descritta come una componente dominante nei settori creativi del paese, che contribuiscono nel loro complesso con 101,5 miliardi all’economia britannica quanto il settore delle costruzioni o della finanza. Il rapporto inoltre ricorda come la musica sia un fattore identitario essenziale nel Regno Unito e contribuisca con l’eccellenza delle sue orchestre oltre che con campioni del pop come Adele ed Ed Sheeran ad esportare nel mondo l’immagine e il prestigio del paese.
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