Benetton aiuterà la Fenice

Quattro milioni di euro in quattro anni

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Un ripetuto e drammatico grido d'allarme si leva dal Teatro La Fenice di Venezia. Non si tratta tuttavia di un "al fuoco, al fuoco...", dagli incendi il Teatro veneziano è risorto più volte nei secoli. Questa volta è qualcosa di peggiore, qualcosa che rischia di far calare definitivamente il sipario su uno dei luoghi che hanno segnato la storia dell'opera italiana. Che la situazione generale della cultura in Italia, e delle 14 fondazioni liriche in particolare non sia delle più rosee è noto da tempo. Parole come tagli, disoccupazione, commissariamenti, cassa integrazione, chiusura incombono come una nube nera sui santuari del belcanto. La parola d'ordine è manovra finanziaria, che per le fondazioni liriche significa 58 milioni di euro in meno dal 2011 al 2013: una ecatombe. Un barlume di speranza e una boccata d'ossigeno sembrava essere il decreto Milleproroghe. Non per la Fenice però. Il governo ha staccato due assegni da tre milioni di euro destinati solo alla Scala di Milano e all'Arena di Verona. Venezia resta a bocca asciutta per il suo colore politico? Forse. La città è amministrata dal centrosinistra mentre a Verona è il Carroccio a far da padrone. La notizia ha accesso le polemiche, con il sindaco di Venezia e presidente della Fenice Giorgio Orsoni che si è scagliato contro il ministro Brunetta, reo «di non aver fatto nulla per la città», e il primo cittadino di Verona Flavio Tosi, che regge un teatro come l'Arena dove «l'impatto popolare non è sinonimo di qualità artistica». A placare gli animi poteva essere un emendamento regionale bipartisan di Pd e Pdl da 2 milioni di euro, anche questo bocciato. Ma La Fenice non può morire. E al capezzale del teatro veneziano dovrebbe accorrere un'azienda simbolo dell'industria veneta, Benetton. Una sponsorizzazione privata di quattro milioni di euro in quattro anni che, se confermata, andrebbe a colmare almeno in parte la chiusura in rosso dei bilanci e il mancato reintegro del Fus, evitando tagli agli stipendi dei lavoratori. Un intervento privato salvifico che segna una tregua momentanea ma evidenzia un paradosso tutto italiano: uno Stato che non sostiene la cultura e un mondo imprenditoriale lungimirante che sembra comprenderne il valore. (a.ba.)

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