Il ritorno della J. & F. Band
Una jam band all-star diretta da Joe Fonda e Tiziano Tononi alle radici del blues-rock-funk
«La storia di Me and The Devil in realtà parte da lontano; nel 2015 siamo stati per la prima volta a registrare a New York con un gruppo che abbiamo chiamato The Brooklyn Express; lì ho conosciuto Joe Fonda (bassista e contrabbassista che ha lavorato negli anni con Anthony Braxton, Satoko Fujii, Wadada Leo Smith); in una pausa della session, chiacchierando anche con Fabrizio Perissinotto [produttore del disco e patron della Long Song Records, ndr] è venuto fuori che Joe suonava nel gruppo di Jaimoe [Johanson, famoso per essere stato membro della Allman Brothers Band, ndr] e che avevamo una passione comune per quella musica. Da lì poi è scaturita l'idea di mettere insieme un ensemble con due batterie e una sezione fiati per abbeverarci alle sorgenti del rock, del blues, del funk, proponendo anche un repertorio autografo».
A raccontare è Tiziano Tononi, motore ritmico della J. & F. Band, da poco giunta al terzo disco, pubblicato come sempre dalla Long Song. Come Cajun Blue, il secondo capitolo di questa epopea arrivato l'anno scorso, anche a questo giro di ruota siamo dalle parti di un torrido e generoso jam rock intriso di soul, di blues, di funk.
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Ancora Tononi: «Il primo disco della band, nel 2018, era più improntato a un repertorio totalmente originale e anche più sbilanciato verso la musica che sia io che Joe Fonda frequentiamo di solito, un jazz più avanzato che che contiene diversi elementi e non smette di fare però riferimento alla storia. Questa volta, come già in Cajun Blue, abbiamo coinvolto il chitarrista texano David Grissom (John Mellencamp e gli stessi Allman nel curriculum) e quindi abbiamo preso una deriva più marcatamente rock, pur non perdendo il vizio di aprirci all'improvvisazione. Il lavoro prende le mosse dall'idea di rileggere due brani straordinari: uno di Robert Johnson, proprio "Me & The Devil" (reso in una vulcanica versione di oltre dieci minuti, ndr) e l'altro è "Spanish Moon" dei Little Feat».
Racconta invece Fabrizio Perissinotto: «La J. & F. band incarna diversi stili e comprende musicisti di varie provenienze. C'è chi, fraintendendo, la considera una specie di tribute band alla Allman Brothers Band, ma è fuori strada; l'idea è di muoversi da lidi solo marginalmente roots e blues, per poi via via espandersi verso il rock più evoluto, sino ad arrivare al free venato di sfumature psichedeliche» – ad esempio in "Hendrix Lane Long" il sipario si alza su un panorama acido à la Grateful Dead per poi deviare verso un carnevale a New Orleans grondante soul e funk.
«Il mio metodo di lavoro come produttore con questo gruppo – continua Perissinotto – è sempre quello di cercare di apportare elementi nuovi e far evolvere il suono, disco dopo disco, Questo può avvenire mescolando e facendo incontrare musicisti di ambiti differenti che hanno elementi in comune, ma che allo stesso tempo magari non si sono mai conosciuti».
Ed in effetti qui sono della partita Jon Irabagon (Mostly Other People Do The Killing) al sax tenore, Emanuele Parrini al violino, che aggiungono quanti di benvenuta imprevedibilità a una ricetta sapida e abbondante, un'altra raccolta di inni alla gioia in musica che sarebbe bello poter ascoltare dal vivo, senz'altro la dimensione ideale per un progetto del genere.
Diverso dai precedenti episodi per una marcata presenza delle chitarre elettriche (ben tre: Scott Sharrard, ex Gregg Allman Band, oggi Little Feat), Bobby Lee Rodgers e il già citato David Grissom), l'album vede saldamente al timone Tononi e Joe Fonda come autori e arrangiatori, abili nel dare vita a un magma ribollente e accogliente al tempo stesso, sette pezzi nei quali perdersi sino al finale che stacca inni al cielo della torrenziale "Nothing Matters", diciannove minuti lirici, acidi ed esplosivi dedicati a George Floyd (con una citazione di "A Love Supreme").
Diamo ancora la parola al produttore, Fabrizio Perissinotto: «Organizzare sessions con otto, dieci musicisti ogni volta richiede un lungo lavoro preparatorio: tutto avviene in poco tempo (un giorno di prova e due di registrazioni). In pratica si tratta di veri e propri live in studio, poiché ritocchi e correzioni in fase di missaggio sono praticamente inesistenti. Il momento migliore è durante le registrazioni stesse: io sono sempre piazzato in sala in mezzo ai musicisti e non seduto dietro al mixer; vivere la magia della musica creata in diretta da vicino non ha prezzo!».
Alzate il volume, iniziate la vostra danza: verrete ripagati da una pioggia elettrica e da un afflato corale capace di spalancare panorami che valicano i confini la cui vista (l'orecchio ci vede, non ve ne siete ancora accorti?) entusiasmeranno anche voi. Come diceva Ayler, music is the healing force of the universe.