Di Mali in peggio

Il punto sulla situazione del Paese africano, verso la guerra

Recensione
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Da diverso tempo a questa parte la musica del Mali ha goduto di un notevole gradimento a livello internazionale: non ultimo dei motivi del suo appeal, quel senso di idilliaco che diverse forme della musica maliana comunicano. Poi c'era il versante tuareg, che negli ultimi anni è assurto a specifico fenomeno della world music: non ultimo dei motivi del suo appeal, la sua indole bellicosa e protestataria.

Insomma, due mondi che sono stati considerati entrambi con favore e considerati compatibili: da un lato non si è fatto molto caso al fatto che la musica maliana non-tuareg non è sembrata molto preoccupata delle richieste delle popolazioni nomadi; d'altro canto la rivendicazione della lotta armata, vissuta direttamente dai fondatori del più affermato gruppo tuareg, i Tinariwen, era assunta essenzialmente come un fatto identitario legato al passato, mentre, dopo gli accordi di pace del '92, si poteva immaginare che - se non tutti i problemi erano stati risolti - almeno la guerra avesse lasciato il posto ad una dialettica meno sanguinosa.
Gli avvenimenti dell'ultimo anno, non senza diversi colpi di scena, ci hanno messo di fronte ad una situazione assai più cruda, con una divisione del paese che attraversa anche la musica, e con sviluppi più recenti che rimescolano le carte ma non allontanano dal Mali, anzi, lo spettro della guerra.

Le premesse della situazione attuale arrivano da lontano, e le racconta bene l'etnologa Barbara Fiore nella Nota che conclude il suo partecipato e denso Tuareg, pubblicato lo scorso anno da Quodlibet (che ha fra l'altro un bellissimo capitolo intitolato Il concerto sui Tartit al Festival au Désert di Essakane): i guasti creati dalla colonizzazione francese; la fine con la decolonizzazione della continuità dei loro territori che i tuareg avevano mantenuto sotto i francesi, e lo smembramento del mondo tuareg fra diversi stati; la rivolta contro il Mali negli anni Sessanta e relativa repressione; le ondate di siccità negli anni Settanta e Ottanta; la maldestra gestione dei profughi da parte degli organismi internazionali, che ha prodotto processi di non-integrazione; la forte islamizzazione dei profughi in Algeria e Libia; la nuova rivolta dei primi anni Novanta... Fino ad arrivare ai contraccolpi della guerra in Libia.


I Tartit al Festival au Désert del 2009

Storicamente i tuareg erano stati aiutati da Gheddafi, e lo hanno ricambiato: persa la partita, migliaia di combattenti con un considerevole armamento sono entrati nel nord del Mali, dove il malessere tuareg era nel frattempo risalito alla superficie. Altro contraccolpo: nel nord del Mali sono entrate anche milizie salafite, all'interno del disegno di Al Qaeda di radicarsi nel Sahara. Fra tuareg e salafiti c'è stata una convergenza tattica, che ha consentito alle loro forze di battere l'esercito maliano e di proclamare in aprile l'indipendenza dell'Azawad, la parte nord del Paese. La frustrazione dell'esercito, che lamentava di non essere messo in grado di fronteggiare la ribellione, ha intanto in marzo originato un colpo di stato militare.

Qualche giorno dopo la proclamazione dell'indipendenza, intervistavo uno dei giovani che hanno integrato il gruppo dei Tinariwen; eccone qualche passaggio:

Di fronte agli sviluppi recenti della situazione, qual è lo stato d'animo di chi, come i componenti storici del gruppo, ha dato il suo contributo alla causa tuareg tanto come combattente che con una musica che sosteneva la rivolta, e adesso vede la ripresa del conflitto?
«Noi abbiamo sempre cantato la nostra libertà, abbiamo lottato per resistere. E Tinariwen canta la sofferenza del suo popolo, il dolore. La situazione attuale non può sorprendere: era chiaro che un giorno il conflitto sarebbe ripreso e non potrà che essere così fino a quando i tuareg non avranno ottenuto la loro indipendenza. Sono cinquant'anni che viviamo sotto la colonizzazione del Mali, e adesso non accettiamo più questa vita, vogliamo essere a casa nostra, liberi e in una situazione di democrazia. Adesso abbiamo l'Azawad, quello che abbiamo cantato da tanto tempo».
Tuttavia negli anni novanta c'erano stati degli accordi di pace fra tuareg e Mali...
«Il problema è che gli accordi non sono stati applicati: perchè se in cinquant'anni tu non hai fatto scuole, non hai fatto ospedali, è chiaro che un giorno la situazione non reggerà più. Lo sviluppo c'è stato solo sulla carta, ma la carta non si mangia, non sostituisce i medicinali, non serve per l'educazione dei bambini. Firmi degli accordi ma poi sul terreno non succede niente. Oggi quindi cerchiamo di riprendere le cose in mano e di preoccuparci dei nostri figli, della persone che hanno bisogno, dei malati, del nostro bestiame. Vorrei che la gente guardasse alla nostra situazione in Mali. Noi non siamo maliani. Siamo degli abitanti dell'Azawad, con molti rifugiati un po' dappertutto, donne, vecchi, bambini. E sul terreno abbiamo molti nemici, i salafiti, le organizzazioni dei paesi vicini che cercano di rovinare la nostra immagine, ma spero che la gente cerchi di aiutare il nostro popolo, che è un popolo nobile, pulito».
Quindi pensate che quello che è successo ultimamente sia comunque un primo passo avanti verso la costituzione di una entità indipendente del vostro popolo?».
«Sì».


L'ultimo Festival au Désert, con l'ospitata di Bono a fianco dei Tinariwen e di Bassekou Kouyaté

Sul versante opposto, lo stato d'animo che un musicista come Sidi Touré esprime nell'intervista che potete leggere nel numero di settembre del "giornale della musica": Sidi Touré vive nella capitale Bamako, ma è originario di Gao, una delle principali città del nord del Mali, una delle città occupate dai ribelli, e a Gao ha un fratello. «Vedere il nord diviso dal resto del paese, gli stupri, la distruzione a Gao di quello che era stato costruito dopo l'indipendenza, è una cosa che mi uccide. Molta gente è scappata, verso il Niger, il Burkina, l'Algeria, o per venire qui a Bamako, lasciando le case vuote...».
Alla fine di giugno i salafiti hanno dato il benservito ai tuareg, che sono stati costretti ad abbandonare le città. Col che, i tuareg sono punto e a capo: anzi, in una situazione molto peggiore di prima. E al problema dei rifugiati tuareg (richiamato dalla recente compilation della Glitterhouse Records Songs for Desert Refugees, in cui compaiono i maggiori gruppi, Tinariwen, Tamikrest, Etran Finatawa, Toumast, Tartit) si è aggiunto quello dei maliani costretti a scappare, quello delle violenze e dell'oppressione nei confronti di chi è rimasto nelle città, quello della distruzione da parte dei salafiti dei preziosi mausolei dei santi islamici (che i salafiti considerano un fenomeno di carattere eretico).

Adesso? Non senza una vivace opposizione da parte delle popolazioni, nelle città del nord i salafiti stanno cercando di applicare la sharia. Il golpe in Mali è in parte rientrato, ma i militari responsabili del colpo di stato non sono ancora veramente usciti di scena, e la situazione politico/istituzionale rimane confusa. I tuareg chiedono aiuto all'occidente, offrendosi, se debitamente armati e in cambio di un compenso in termini di autonomia/indipendenza, di farsi carico loro della guerra contro i salafiti. La Francia preme per un intervento dei paesi africani, ma la forza militare che farebbe massa critica per la riuscita sarebbe quella della Nigeria, che recalcitra perchè deve già vedersela con un problema di alqaedismo al proprio interno. Oppure potrebbe intervenire direttamente la Francia. In ogni caso sotto il profilo militare un intervento sarebbe tutt'altro che semplice. Ma l'alternativa è lasciar crescere un cancro dei peggiori: le metastasi si stanno già diffondendo (i servizi del Senegal danno - per esempio - già per certo un inizio di infiltrazione di salafiti sul loro territorio).


Un brano dall'ultimo disco di Sidi Touré

Nell'intervista Sidi Touré ci racconta della canzone che ha composto sulla guerra: e purtroppo quanto a questo tema la musica maliana rischia di avere abbondante materia su cui lavorare.

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