Torino Jazz Festival, ovvero come non fare le politiche culturali

Narrazioni Jazz licenzia il direttore artistico Stefano Zenni: un progetto nato male

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Foto Redazione Web Comune di Torino
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È difficile trovare una storia più emblematica di un cattivo modo di fare politiche culturali e di spreco di risorse del Torino Jazz Festival. Questo non è – lo dico subito – un attacco alla giunta Appendino e all’assessore Francesca Leon: il caso del Torino Jazz Festival (poi Narrazioni Jazz), osservato alla soglia del suo probabile smantellamento (o nuova reincarnazione) sembra riassumere in sé da subito, già dai tempi faraonici della giunta Fassino e dell’assessore Braccialarghe, il peggio delle abitudini in merito ai festival.

Breve riassunto delle puntate precedenti per chi non c’era. 2012: il nuovo assessore alla cultura della Giunta Fassino, Maurizio Braccialarghe, uomo Rai, decide che Torino ha bisogno di un grande festival jazz. Sceglie come direttore artistico Dario Salvatori. Fra collocazione infelice, sfortuna meteorologica e un programma di scarso livello, costruito in quattro e quattr’otto e promosso troppo tardi, il festival si guadagna più critiche che consensi, anche perché – secondo molti – andrebbe a drenare soldi ad altri festival (MITO in primis, in quel momento in difficoltà), e sicuramente al resto della programmazione annuale ordinaria. La foto di Fassino, Braccialarghe e Salvatori con dei cappellini sgargianti alla conferenza stampa entra nell’immaginario collettivo torinese (all’epoca i meme non andavano ancora forte). Insieme si vara anche il Fringe, costola “per la città” del Festival, affidato a Furio Di Castri. Un importante ruolo nella programmazione hanno anche il Jazz Club Torino e il suo fondatore Fulvio Albano.

Anno successivo, Braccialarghe cambia rotta affidando il festival a Stefano Zenni. La scelta di Zenni sembra funzionare, oltre che per il suo profilo di studioso e musicologo, anche perché appare decisamente fuori dai giochi di potere locali. Zenni non è un musicista, non è torinese, non conosce a fondo le dinamiche della scena locale, non ha secondi fini, può usare il budget (sempre sontuoso, per la media nazionale) come meglio crede. Il Festival in un paio d’anni sembra ingranare, pur nel continuo tira e molla stagionale del “si fa o non si fa”. Nel 2015 l’edizione migliore, con il Sonic Genome di Braxton e una grande quantità di produzioni nuove e interessanti.

Il 2016 è un anno di transizione, con Braccialarghe ormai prossimo alla fine del mandato, comunque vadano le elezioni. La vittoria di Chiara Appendino sembra destinata a cambiare tutto: la sindaca Cinque Stelle è da sempre stata una fiera oppositrice del Jazz Festival, si prende la delega ai grandi eventi e la creatura di Braccialarghe sembra destinata a una fine ingloriosa… Oppure no? I cambiamenti di rotta e le indiscrezioni vanno avanti per mesi, con Zenni che annuncia che il festival è morto, poi che è vivo, poi che è vivo ma non sta benissimo e sarà solo un paio di giorni durante il Salone del libro. Infine, che si chiamerà Narrazioni Jazz, sarà durante il Salone del Libro e avrà 600mila euro di budget (non proprio “poco”). Ho ripercorso quella sequenza di eventi qui. A posteriori, si rinforza l’impressione che la scelta di mantenere Zenni al timone del nuovo Narrazioni Jazz sia avvenuta più per assenza di idee e pressing della stampa cittadina che per fiducia nel progetto.

E arriviamo a oggi, o meglio a ieri. Dopo qualche indiscrezione trapelata nel giro del jazz torinese, si viene a sapere che la giunta sta facendo casting per trovare un nuovo direttore artistico, non soddisfatta dall’esito della precedente edizione. Zenni rivendica, dal suo profilo Facebook, il buon esito di pubblico di Narrazioni Jazz confermando le indiscrezioni sul suo sostituto, augurando alla giunta di saper “dare corpo alle sue più audaci aspirazioni culturali”:

«[…] l’assessora ha dichiarato al sottoscritto che si tratta di un cambio di direzione politica del festival, che intende (cito a memoria) “ricucire i rapporti col territorio” e “dialogare con le associazioni locali”. Per questo hanno deciso di prendere un direttore di Torino o dintorni.  Si può discutere su questa scelta, ma prendo atto. Quanto a me, faccio un grande augurio al prossimo direttore, chiunque esso sarà».

L’errore di Zenni, dunque, è stato quello di accettare l’offerta l'anno scorso, puntellando un festival che per quanto – come a ragione rivendica l’ormai ex direttore – abbia avuto un buon successo di pubblico, è sembrato una sorta di collaterale del Salone del Libro, messo su dal Comune con poca convinzione.

Intanto, a dimostrare come il banco sia saltato, ci ha pensato il Jazz Fringe a peggiorare la situazione, trasferendosi con il suo format e la sua direzione artistica a Firenze.

Dunque, perché il caso del Torino Jazz Festival / Narrazioni Jazz potrà un giorno essere ricordato come un modo terribile di fare politiche culturali? Qualche considerazione.

Evirarsi per fare dispetto alla moglie

Una giunta che si insedia e distrugge in pochi mesi quanto costruito in cinque anni dalla giunta precedente ricorda molto la storiella del signore che si evirò per fare dispetto alla moglie. I grandi eventi culturali non si costruiscono in un anno, ma mostrano il loro potenziale con la continuità di molte edizioni. Possono cambiare rotta, ripensarsi, ma – per quanto invisi a una giunta – non possono sparire dal giorno alla notte. Soprattutto se – e sarebbe difficile negarlo nel caso del Jazz Festival – funzionavano. E soprattutto se non spariscono per un cambio di rotta delle politiche e delle idee chiare: avremmo tutti accettato con grande favore un assessore che dicesse: “OK, niente jazz festival. Ma investiremo quei soldi per [inserire realtà culturale]”. Restiamo in attesa.

Come non si fa promozione della città

Il Torino Jazz Festival aveva creato un brand molto riconoscibile, anche in termini di valorizzazione della città. L’anno scorso, dal giorno alla notte, i fan della pagina su Facebook (svariate migliaia) hanno ricevuto una notifica: «La pagina che ti piace “Torino Jazz Festival” ha appena cambiato nome in “Narrazioni Jazz”». Ecco, questo è come non si fa marketing culturale.

Come non si fanno le politiche culturali

L’accusa a Braccialarghe (anche da parte del Cinque Stelle) era quella di aver fatto un evento faraonico con poche ricadute sulla città al di fuori dell’affluenza del pubblico in quei 4-5 giorni. È un’accusa condivisibilissima, ed è una scelta perfettamente coerente con le politiche culturali di quella giunta PD. Politiche sbagliate, le cui conseguenze (inasprite da altre scelte dell’M5S) hanno portato alla percezione di una città in cui gli eventi culturali sono in triste calo rispetto ai fasti del periodo precedente. Da questo punto di vista, la toppa (Narrazioni Jazz) è stata peggio del buco, con un festival che si cannibalizzava con il Salone del libro e una successiva programmazione estiva morta, con poche eccezioni nobili (TOdays Festival).

Perché un direttore torinese non risolverà il problema, anzi

Secondo le indiscrezioni, confermate da Zenni, il nuovo direttore artistico di Narrazioni Jazz (se ci sarà, e se si chiamerà così) sarà un jazzista torinese per “ricucire i rapporti col territorio”. Al momento ancora non si sa il nome del direttore artistico: di certo non mancano, in città, le scelte di qualità in grado di mettere su un festival di livello. Tuttavia, l’idea di un direttore artistico torinese, che porti dunque dentro il festival il suo capitale sociale di contatti e musicisti (il famigerato “territorio”) è fondamentalmente provinciale, oltre che controproducente alla lunga. Zenni ha potuto costruire quanto ha costruito soprattutto perché avulso da certe dinamiche, da certi ticket da pagare a questa o a quella realtà, a questo o a quel collega. Se si ragione in termini di territorio, non sarebbe meglio finanziare progetti a lungo termine e lungo tutto l'anno, invece che un baraccone che dura lo spazio di un weekend?

 

Insomma, non se ne esce. Comunque vada a finire questa vicenda, la città di Torino ha gettato cinque anni di programmazione culturale e marketing sulla città. E se il faraonico jazz festival di Braccialarghe era uno schiaffo a molte piccole realtà che fanno cultura lungo tutto l’anno, con una città che si saturava in 4-5 giorni di eventi a basso costo in cui il fulcro non era mai davvero la musica, la sua morte ha reso vano anche quanto di buona poteva emergere, sul lungo periodo, in termini di indotto e crescita del sistema culturale cittadino.

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