Soundtrack to a Coup d’Etat, jazz e golpe a Kinshasa

Il documentario Soundtrack to a Coup d’Etat, candidato agli Oscar, ricostruisce il colpo di stato in Congo a tempo di jazz

Soundtrack Coup d'Etat
Articolo
jazz

L’omicidio a tempo di jazz di Patrice Lumumba – Primo Ministro dello Stato dell’Africa Centrale prima conosciuto come Congo Belga, poi Zaire e infine Repubblica Democratica del Congo -, un documentario di 150 minuti (non spaventatevi, il ritmo è incredibile) che ricostruisce una pagina vergognosa della storia delle Nazioni Unite. Eccezionale materiale d’archivio e gli interventi di alcuni tra i più grandi jazzisti dell’epoca: il risultato è straordinario ed è visibile a SYS 11 (sabato 22 febbraio alle ore 20.30).

Il jazz possiede una connessione altamente personale coi suoi ascoltatori che li spinge a notare le tortuosità tanto quanto li incoraggia a comprendere il disegno più grande.

«Rhythm is my business» - (Dizzy Gillespie)

Questa considerazione ci introduce al feroce documentario (uno dei migliori del 2024, al punto da essere in corsa per un Oscar) del regista belga Johan Grimonprez, Soundtrack to a Coup d'Etat: uno sguardo altamente complesso alla richiesta di decolonizzazione all’epoca della Guerra Fredda. 

Comincia nel 1961, con le leggende del jazz Abbey Lincoln e Max Roach – qualcuno ricorda che nell’edizione dello scorso del festival fu proiettato Max Roach: The Drum also Waltzes? Ma non solo: nell’edizione del 2022 era presente Soul Power, documentario sul concerto tenutosi a Kinshasa nel 1974 qualche giorno prima dell’incontro di boxe tra Foreman e Ali, il celebre Rumble in the Jungle – entrambi presenti nell’album We Insist! (realizzato nel 1960, con scopo quello di rappresentare la comunità nera e la sua lotta per l’indipendenza e i diritti).

– Leggi anche: La pazzia musicale del Congo funk 

Un anno più tardi Lincoln e Roach fecero un ulteriore passo in avanti quando irruppero, insieme ad altri attivisti, nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite fuori dalla grazia di Dio: il Primo Ministro congolese Patrice Lumumba era stato assassinato dai separatisti del Katanga in risposta alla sua azione in favore dell’indipendenza del suo Paese, finalmente libero dalla colonizzazione del Belgio. 

Lincoln e Roach avevano capito che Lumumba era stato assassinato a sangue freddo a causa della sua lotta per la decolonizzazione contro un sistema corrotto usato per secoli a spese di innumerevoli razze e culture. È anche grazie a loro se si è capito che le Nazioni Unite hanno permesso che l’esecuzione di Lumumba avvenisse senza alcun tipo di ripercussione politica.

lumumba
Patrick Lumumba

Ciò che risalta in Soundtrack to a Coup d'Etat è una reazione a catena di sequenze, inclusa quella del famoso momento in cui il Segretario del PCUS Nikita Khruschev - secondo quanto riportato ma in realtà dovrebbe essersi limitato a usare i pugni - batté la sua scarpa sul banco dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (mentre la certezza di questo momento è ancora pesantemente dibattuta, l’idea di suoni e percussioni usati per frustrazione politica risuona totalmente vera). 

Non c’è bisogno che dica che c’è molta carne al fuoco in Soundtrack to a Coup d'Etat (in fin dei conti sono pur sempre due ore e mezza), ma il film riesce a esporre tutto in maniera superba. Sia che vi siate da poco avvicinati al jazz o che non maneggiate con scioltezza la politica globale (soprattutto quella della metà del secolo scorso), Soundtrack to a Coup d'Etat vi aggiornerà in men che non si dica.

Montato come una versione visiva di musique concrète, Soundtrack to a Coup d'Etat è ben farcito con immagini di repertorio, spezzoni di telegiornali e altro materiale che rendono il film un mosaico ben assemblato di informazioni, un’esperienza totalmente omogenea. 

Con la massiccia inclusione di jazz degli anni Cinquanta e Sessanta lungo tutto il documentario (da Louis Armstrong, Nina Simone, Charles Mingus, Art Blakey e John Coltrane, a Eric Dolphy, Miriam Makeba e Ornette Coleman), Soundtrack to a Coup d'Etat crea tensione, aspettativa e frenesia; da questo punto di vista il jazz è davvero all’altezza del titolo del film.

I rullanti delle batterie jazz dettano il ritmo della marcia di coloro che rifiutano di sopportare ancora, lo scat diventa i canti finalmente udibili di coloro a cui è stato imposto il silenzio, i poliritmi e le variazioni tonali delle composizioni jazz sono avvertiti come ristrutturazioni ribelli. 

A dispetto della sua durata, Soundtrack to a Coup d'Etat ci inchioda, procedendo a velocità folle senza mai alzare il piede dall’acceleratore e senza far perdere una singola informazione. Come con le migliori canzoni jazz, molto avviene a un ritmo calamitoso ma siamo comunque in grado di riconoscere ogni singola parte, memorizzare ogni fatto e percepire ogni affermazione intenzionale. Siamo di fronte a un documentario dinamico, uno di quelli da cui si impara e che fa pensare, è la descrizione di coloro che chiesero di essere ascoltati una volta per tutte, e Soundtrack to a Coup d'Etat, analogamente, è un film che non possiamo ignorare, sia per il suo risultato artistico sia per la sua analisi storica e politica.

«Quando un pesce piange nell’acqua, voi ve ne accorgete?» - proverbio congolese

P.S. Non sono volutamente entrato nel merito della vicenda per non diminuire il piacere della visione; però lasciatemi solo elencare alcuni spunti per fare aumentare la voglia di vedere questo bellissimo documentario:

1. Davvero alcuni jazzisti – Armstrong in testa – divennero gli “utili idioti” (in realtà spacciati per “ambasciatori”) della CIA per rendere più accettabili le posizioni americane presso i governi africani? 

Louis Armstrong in Ghana
Louis Armstrong in Ghana

«Sono un ambasciatore migliore di Kissinger» - (Dizzy Gillespie)

2. Le immagini delle auto Tesla e degli iPhones servono come potenti promemoria che la lotta per le risorse naturali globali, nel Terzo Mondo e non solo, continua.

3. Le immagini di Fidel Castro, Tito, Sukarno e Malcom X a New York sono straordinarie.

4. Le interviste ai mercenari sono impressionanti.

5. È impossibile finire la visione del film senza essere ammirati e affascinati dalla figura di Andrée Blouin, l’ignorata eroina delle indipendenze africane, la Black Pasionaria, la stilosissima “Musa di Lumumba”, come la definì la stampa internazionale, amica di Kwame Nkrumah, Sékou Touré e Ahmed Ben Bella.

Foto di Andrée Blouin con Pierre Mulele (1959)
Andrée Blouin con Pierre Mulele (1959)

 6. La notte del 2 marzo, alla cosiddetta “Notte degli Oscar”, nella categoria Miglior Documentario io farò il tifo per…dai, l’avete già capito.    


 

 

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

jazz

Qualcuno ha detto jazz "nuovo"? Qualunque cosa significhi, qui ce n'è per tutti i gusti

jazz

Alla scoperta dei tesori nascosti del jazz anni Settanta

jazz

Unapologetic Expression. The Inside Story of the UK Jazz Explosion di André Marmot ricostruisce la vivace nuova scena di Londra