Mezz Gacano, il R.I.O. è vivo (e lotta insieme a noi)

Kinderheim del polistrumentista siciliano Mezz Gacano (Davide Mezzatesta) guarda ai fasti del rock in opposition

Mezz Gacano - Kinderheim
Mezz Gacano - Kinderheim
Articolo
jazz

Mezz Gacano (Davide Mezzatesta) è un polistrumentista palermitano che meriterebbe platee più ampie di quelle che attualmente ha. «Faccio musica dal 1986: di ogni genere, stile, derivazione e colore!», ha raccontato nel presentare la sua ultima fatica discografica, Kinderheim, pubblicata a nome Mezz Gacano & Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble da Almendra Music e Lizard Records. 

Mezz Gacano Kinderhein

Più di venti musicisti coinvolti (una sorta di Centipede sicula), qualche nome eccellente (Tommaso Leddi di Stormy Six, Gianni Gebbia) per un lavoro notevole, che riporta a galla mai sopite memorie di Henry Cow e di Frank Zappa e soprattutto parla la lingua di un musicista poliedrico e ispirato, cocciutamente fuori da ogni moda. Era dunque necessario approfondire con un’intervista.

Presentati ad una platea che forse non ti conosce: che tipo di musicista sei, cosa ti piace fare, qual è il tuo background?

«Sono un musicista mai sazio, mi nutro in continuazione di roba (musicale) di qualsiasi tipo, epoca e derivazione, mi piace suonare sia da solo a casa che davanti a qualsivoglia tipo di pubblico, adoro scrivere , trascrivere, strutturare, destrutturare, improvvisare. Il mio background è di tipo classico/cameristico, poi condito con ascolti che vanno dai Kinks ai Portal passando per Berio e Pitchshifter».

Mi racconti del tuo ultimo disco, Kinderheim? Molti musicisti coinvolti, tra cui anche qualche nome storico della musica italiana e dell’improvvisazione, una grande varietà timbrica, echi di Henry Cow e rock in opposition. Sono tutti materiali scritti?

«Sì, è una sorta di “raccolta spazio-temporale” che parte dal 1993 e atterra nel 2017: quasi venticinque anni di musica scritta in tempi e luoghi diversi della mia esistenza, è tutto materiale scritto classicamente su spartito ma, avendo fra le mie file una nutrita coltre di professionisti, una volta in studio abbiamo potuto lavorare anche sull’improvvisazione e le armonizzazioni, che talvolta rasentano la enarmonia». 

«Nel R.I.O c’è tutto, dagli Aksak Maboul agli Zhongyu , passando ovviamente da tutti i capostipiti del genere e quindi Henry Cow, Stormy Six, Univers Zéro, Samla Mammas Manna e Etron Fou Leboulan; fra l’altro fra gli ospiti “illustri” nel disco c’è Tommaso Leddi degli Stormy Six, che ha poi partecipato al Mezz Day tenutosi a Palermo nel 2018 e con cui ho un nuovo progetto: stiamo ultimando un disco».

 Domanda provocatoria: ma siamo ancora al rock in opposition? Come mai? Non c’è il rischio di essere “vecchi” ?

«Insomma, ti rispondo con Cage (giusto per darmi un tono) che sosteneva che, citando a sua volta Lavoisier (quello che scrisse per primo “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”), che non esiste musica del tutto nuova o del tutto vecchia. Cage prendeva ad esempio la musica “classica” cinese mettendola in parallelo con la musica contemporanea e asserendo che fossero praticamente sorelle gemelle. E quindi questo monito mi spinge a pensare che la musica “nuova” esisterà sempre anche se devo ammettere che le etichette (ormai anche R.I.O lo è) mi stanno molto strette. Faccio musica e basta!».

So che in maggio dovrai suonare con Stormy Six. Ci racconti meglio?

«Sì, è incredibile, è tutto merito di una serie di sincronismi che grazie anche alla fortuita conoscenza e conseguente collaborazione con Tommaso Leddi si sono sviluppati in questi due anni; è anche un’idea che mi era già stata proposta da Massimo Cataldi (direttore artistico de La casa di Alex a Milano) ai tempi dell’uscita di Frok”, ma che poi per vicissitudini varie non andò in porto. Adesso finalmente è il momento propizio, approfittando del fatto che a maggio saremo in giro per il nord Italia a presentare Grind Kazoo (il nuovo disco, a cui stiamo intanto lavorando): faremo tappa proprio a La Casa di Alex e insieme a un ricco cartello di ospiti apriremo per i miei amati Stormy Six!».

Cosa ascolti oggi, quali sono i tuoi musicisti di riferimento?

«Oggi, come ieri, continuo a fagocitare tutto quello che mi capita; adesso è facilissimo reperire musica di qualsiasi genere e derivazione da tutto il mondo, ogni tanto approfondisco magari qualche artista che magari ascoltavo anni fa. Ultimamente sto rivedendo per esempio Mama Béa Tekielski, Leo Ferrè, R.Steve More, Ukandanz e Brom o tutta la “nuova” ondata di “math-prog” di derivazione francese attuale tipo Poil, Piniol o Iksis che sono formidabili. I miei musicisti di riferimento sono Anthony Braxton, Moondog, Luciano Berio, Bruno Maderna, Mauricio Kagel, Derek Bailey, Arto Lindsay, CAN, Faust, S.O.B., Boredoms, Olu Dara, Art Ensemble of Chicago, Beefheart… La lista potrebbe essere infinita!».

Com’è essere musicisti in Sicilia, e nello specifico a Palermo?

«È dura, come al momento in tutto il resto d’Italia, soprattutto per chi, come me, si occupa di musica complessa, che non puoi suonare ovunque e per la quale devi chiedere l’attenzione del pubblico. Devo dire che anche i teatri sono messi poco bene dal punto di vista istituzionale. Al momento Palermo risponde meglio di molte altre città, paradossalmente in questo periodo storico vedo molta più apertura qui che altrove. Forse ci stiamo svegliando: meglio tardi che mai». 

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

jazz

Sassofonista e compositore, se ne è andato a 95 anni Benny Golson

jazz

Pubblicata l’edizione italiana del volume postumo curato da Daniela Veronesi

jazz

Con sei appuntamenti sulla terrazza dell’Hotel Carlton, dal 4 luglio al 12 settembre la rassegna Women For Freedom In Jazz offre nuova voce alle donne in difficoltà