L'orologio apollineo di Andriessen e Schönberger

Un libro di Louis Andriessen e Elmer Schönberger, finalmente in edizione italiana per il Saggiatore, riflette su Stravinsky (e sulla musica in generale)

Orologio Apollineo, di Andriessen e Schoenberg - il Saggiatore
Louis Andriessen (foto Francesca Patella)
Articolo
classica

Louis Andriessen - Elmer Schönberger
L’orologio apollineo. Su Stravinsky
Milano, il Saggiatore 2017, 385 pp., € 34,00.
Prefazione di Filippo Del Corno
 

«Quello che mi urta è che tanta gente pensa al di sotto della musica, la musica, cioè, è per loro qualcosa che ricorda qualcos’altro». Basta questa frase di Igor Stravinsky raccolta da Robert Craft nel volume Ricordi e commenti (edito in Italia da Adelphi nel 2008) per avallare le intenzioni sulla base delle quali Louis Andriessen ed Elmer Schönberger hanno compilato le cinque parti in cui si articola L’orologio e l’apollineo, libro pubblicato in origine nel 1982 e finalmente proposto nella traduzione italiana di Valeria Gorla da il Saggiatore.

Orologio Apollineo, di Andriessen e Schoenberg - il Saggiatore

I due autori olandesi – il primo riconosciuto come uno dei compositori più significativi della nostra epoca, il secondo compositore anch’esso ma anche e soprattutto musicologo – in questo denso lavoro tracciano un percorso costruito sulla base di diverse riflessioni – come recita appunto il sottotitolo – “su Stravinsky”, scaturite dal comune interesse per la musica del compositore, dichiarata fin dall’introduzione: «Nella musica sentivamo che tutte le sue opere erano state composte a partire da un’immutabile mentalità musicale». Un interesse che prende la forma rapsodica di un ibrido tra un racconto estemporaneo e un’analisi monografica, in cui ci troviamo accompagnati in capitoli di ampio respiro come “L’America di domenica”, “Realtà prefabbricata” o “Un fotomontaggio”, tratteggi del panorama musicale abitato direttamente o indirettamente dal compositore russo – “Purcell, Pergolesi e gli altri” o “Ragtime” – o ancora affondi su singole opere: “1966 – Requiem Canticles”, “1947 – Orpheus”, “1918 – L’Histoire du soltad”, tra le altre.

Una narrazione che esclude la biografia così come l’agiografia, e che restituisce punti di vista anche pragmaticamente lucidi, come quando i due autori affrontano la questione dell’uso dei temi di estrazione popolare della musica del compositore: «Stravinsky trasformò il pensiero musicale affrontando le caratteristiche della musica popolare a livello sintattico; di solito però i musicologi citano soltanto le caratteristiche della costruzione della melodia e del ritmo (additivo) in questo contesto. Ma la musica tradizionale ha anche altre caratteristiche […] come l’esecuzione e il suono distintivo. La musica tradizionale è imperfetta. In essa è permesso stonare. Stravinsky rende udibile tutto ciò».

«La musica tradizionale è imperfetta. In essa è permesso stonare. Stravinsky rende udibile tutto ciò».

Quella proposta da queste pagine è una lettura non scontata, ricca di esempi musicali che impegnano il lettore assieme ai salti temporali e ai cambiamenti di contesto che, capitolo dopo capitolo, costruiscono un sentiero sicuramente non lineare ma affascinante, sorta di metafora del percorso di vita e di arte dello stesso compositore russo, come lucidamente annota Filippo Del Corno nella sua prefazione: «La stessa vicenda biografica di Stravinsky, apolide per eccellenza, che abitò tre continenti – ancora davvero asiatica è da considerare la Russia della sua infanzia – e tre cittadinanze corrisponde profondamente a questa figura di identità plurale che traspare dalla pagine di Andriessen e Schönberger: proprio in questa prospettiva sono da inquadrare i riferimenti biografici e, al tempo stesso, iconici che costellano le pagine del libro e che, dietro una cortina a volte apparentemente aneddotica, illuminano come punti di indirizzo e orientamento il percorso del lettore verso la chiave che possa aprire definitivamente il tesoro della grandezza di Stravinsky».

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