I 100 anni del primo assolo di Louis Armstrong

Il 5 aprile 1923 Armstrong incideva con King Oliver per la Gennett Records di Richmond

King oliver
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Il 5 aprile del 1923 la Creole Jazz Band di King Oliver si sobbarcò sei ore di treno per andare da Chicago a Richmond, in Indiana, per una seduta di incisione dell’etichetta Gennett.

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Il 1923, ha scritto Dan Morgenstern, è stato un anno di svolta nella storia del jazz. Non è l’anno del primo disco di un’orchestra da ballo africano-americana – il primato spetta a quella di James Reese Europe nel 1913 – né del primo disco caratterizzato dall’uso del nuovo termine “jazz” – fu la Original Dixieland Jazz Band a inciderlo nel 1917.

Nel 1920 fu la cantante di blues Mamie Smith con il successo inaspettato di “Crazy Blues” a rivelare all’industria discografica l’esistenza di un settore di mercato fino ad allora sconosciuto, lanciando i cataloghi dei “race records”: dischi di artisti neri per le comunità africano-americane. Il primo ad entrare in studio con un gruppo strumentale di New Orleans fu Kid Ory, in California nel 1922, ma i dischi di quella piccola etichetta ebbero una circolazione solo locale. 

Il 1923 segna però un punto di svolta con le prime registrazioni di King Oliver, Louis Armstrong, Sidney Bechet, Freddie Keppard, Bennie Moten, Bessie Smith e Jelly Roll Morton in solo: si inaugura l’era del jazz classico, si afferma l’idea del solista improvvisatore di jazz nel senso moderno del termine e si gettano le basi per le big band dell’era dello swing.

La Gennett Records

Alcune di queste registrazioni nacquero in un luogo improbabile – un capannone dall’aspetto dimesso a pochi passi da una frequentata ferrovia, nella piccola città di Richmond, in Indiana, a 1500 chilometri da New Orleans: lo studio della Gennett. Nella vicenda di questa ditta si incrociano le storie di tutte le tecnologie che hanno creato il mondo della popular music dopo la metà dell’Ottocento: il pianoforte, il pianoforte meccanico, il fonografo e il disco.

La Gennett era uno sviluppo industriale della attività di una ditta di pianoforti, la Starr Piano Company, fondata nel 1872. James Starr e altri imprenditori convertirono l’attività artigianale dell’alsaziano George Trayser, che aveva sede a Ripley in Ohio, in una piccola fabbrica di pianoforti nel centro cittadino di Richmond. La crescita dell’attività fu tale da richiedere verso il 1895 l’apertura di una nuova fabbrica fuori città che utilizzava l’energia fornita dal fiume Whitewater.

Starr Piano company

La ditta si rinominò Starr Piano Company, e nel 1893 venne venduta a tre investitori provenienti da Nashville, in Tennessee, tra cui Henry Gennett, figlio di un immigrato italiano proveniente da un borgo dell’appennino genovese, Borzonasca. Centro storico di emigrazione, il villaggio è famigerato perché la miseria spingeva i suoi abitanti ad esercitare varie attività illegali legate all’accattonaggio: «Cerretani, guidoni e birbanti provenienti dalla società contadina svolgevano le medesime attività di accattonaggio» hanno scritto gli storici Albino e Gianandrea Zanone.

I cerretani praticavano la questua fraudolenta falsificando indulgenze e travestendosi da religiosi; i guidoni o ghitti agivano a Genova. Borzonasca in Val Sturla era uno dei luoghi da cui partivano nel Sette/Ottocento i birbanti – o battibirba – con un raggio d’azione molto ampio, oggi diremmo europeo. Esisteva la cosiddetta “controcultura” dei vagabondi, cioè la presenza di diverse compagnie segrete: epilettici, pellegrini, prigionieri dei turchi, muti, preti, furbi, furfanti, guidoni, pitocchi, scrocchi, finti prelati…

Prima dell’inizio del XX secolo la famiglia Gennett diventa unica proprietaria della Starr Piano, che a quel punto si era affermata come una delle maggiori fabbriche americane di pianoforti. Già negli anni Dieci tuttavia, a seguito delle innovazioni tecnologiche di Edison e Berliner, il grammofono inizia a sostituire il pianoforte come fonte di musica casalinga. La Starr – guidata dai figli di Henry Gennett – intuisce il nuovo mercato e non appena scadono i diritti su alcune tecnologie del grammofono nel 1916 approfitta della propria esperienza nella meccanica e nella falegnameria acustica per aggiungere grammofoni e dischi ai propri prodotti.

All’inizio la ditta si limita a duplicare matrici incise a New York per altre etichette, poi inizia una propria produzione distribuita con etichetta Starr. Questa attività incontra tuttavia ostacoli in quanto i dischi vengono venduti assieme a pianoforti e fonografi, e le altre ditte non vogliono vendere nei loro negozi i dischi che portano il marchio di un concorrente. La Starr decide quindi di operare come etichetta discografica con il nome di Gennett Records. È soprattutto Fred Gennett a curare il settore dischi. La Starr sviluppa attività anche nel campo della musica a stampa, dei metodi per piano, e nella produzione di rulli per pianola, perforati localmente da pianisti specializzati. 

Ma l’ingresso della Starr nel mercato discografico viene ostacolato dalle tre ditte che dominano il mercato – Columbia, Edison e Victor – sia attraverso il controllo degli artisti più importanti, cui pagano compensi che la Gennett non si può permettere, sia attraverso la rivendicazione dell’esclusivo uso di una serie di tecnologie brevettate per la riproduzione e l’incisione del disco, denunciando la Starr nel 1919. La ditta di Richmond reagisce e intraprende una battaglia legale che vince nel 1922, aprendo la strada a tutte le altre etichette indipendenti. 

Per assicurarsi materiale da produrre la Starr/Gennett crea una rete di negozi e di studi di registrazione, assegnando ai propri agenti l’incarico di cercare talenti regionali e sconosciuti, che vengono invitati a incidere la propria musica senza il controllo di un produttore ma solo rispetttando le condizioni tecniche necessarie a produrre un risultato accettabile.

In questo modo la Gennett svolse una attività pionieristica di documentazione di generi e artisti locali, legati a gruppi sociali minoritari, incidendo anche dischi di parlato e di effetti sonori per il cinema. Il successo dell’etichetta sta nella quasi totale libertà creativa lasciata ai musicisti in studio, e nella costante ricerca di musicisti poco noti che operano in aree ancora inseplorate dal grande pubblico. In questo senso la Gennett Records è il prototipo dell’etichetta discografica indipendente. 

Il crollo della borsa del 1929 segna la fine della Gennett, anche se la Starr mantiene una linea di produzione economica, la Champion, fino al 1934. Le attrezzature verranno usate per stampare dischi Decca e Mercury ma la storia dell’etichetta, malgrado vari tentativi di rilancio, era finita. 

King Oliver entra in studio

Lo studio di incisione era stato costruito da Fred Gennett accanto alla fabbrica di pianoforti, e inizia ad operare nel 1921. «Era uno studio rudimentale, senza isolamento acustico» ha scritto Hoagy Carmichael, «e proprio accanto c’era un ramo ferroviario con le locomotive che passavano sferragliano e sbuffando a pochi metri». Se passava un treno le vibrazioni erano tali da far saltare via la puntina dal solco del supporto di registrazione, che doveva essere mantenuto malleabile, per cui nello studio la temperatura veniva mantenuta a 30 gradi. 

Le principali etichette discografiche per sfruttare il mercato degli africano-americani si concentravano sui dischi di cantanti nere già celebri come interpreti di rivista musicale, a cui venivano affidati blues trascritti e rielaborati da compositori come W. C. Handy, imitando la formula di “Crazy Blues”. Fred Gennett aveva bisogno di trovare un’altra strada, e dopo aver sperimentato con la cantante blues Viola McCoy e con il pianista nero Richard Jones fece il grande passo.

Joe “King” Oliver stava facendo sensazione con la sua Creole Jazz Band e i suoi duetti di cornetta assieme a Louis Armstrong nella sala da ballo dei Lincoln Gardens, la più importante del South Side di Chicago, popolato da decine di migliaia di immigrati neri provenienti dal Sud agricolo. La sala aveva come regola di aprire una settimana al pubblico solo bianco, e sicuramente lo frequentarono in quelle occasioni l’editore musicale Melrose e Fred Wilkins, gestore di un negozio Gennett a Chicago e originario di Richmond, amici e associati di Fred Gennett. L’etichetta mise sotto contratto Oliver e la sua Creole Jazz Band portandoli a Richmond per la loro prima seduta il 5 aprile del 1923.

armstroing

Del gruppo facevano parte Joe Oliver e Louis Armstrong alle due cornette – scelta inusuale per l’epoca –, Honoré Dutrey al trombone, Johnny Dodds al clarinetto, Lil Hardin al pianoforte e arrangiatrice del pezzo, Bill Johnson al banjo e Baby Dodds, batteria e percussioni.

La band non era mai entrata in uno studio di registrazione prima di quel viaggio.

La band non era mai entrata in uno studio di registrazione prima di quel viaggio. «Eravamo tutti nervosi» ha raccontato Baby Dodds. «Era qualcosa di cui non avevamo fatto mai esperienza. Grondavamo tutti di sudore con gocce grosse come pollici, a parte Lillian, che era tranquillissima e fresca come una rosa».

L’incaricato della registrazione era Ezra Wickemeyer, un impiegato amministrativo trentenne convertito in tecnico, che aveva elaborato una serie di tecniche artigianali che metteva in pratica nel primitivo studio d’incisione, sotto il suo stretto controllo: pochi a parte i musicisti vi erano ammessi, racconta Rick Kennedy nella sua storia della Gennett Records.

Brillante e comunicativo, con una sigaretta permanentemente appiccicata al labbro inferiore, Wickemeyer incuteva timore a prima vista per le ampie cicatrici che portava sul capo e sulle braccia, risultato di gravi ustioni subite nell’infanzia. Vale la pena ricordare che nel 1923 si registrava ancora con un sistema completamente meccanico, o acustico: senza microfono, con il segnale convogliato da un cono verso una membrana che vibrando muoveva un ago solidale, lasciando una labile traccia sul supporto.

La potenza del suono di Armstrong, allora ventiduenne, rischiava di soverchiare il resto del gruppo, quindi lo piazzò a diversi metri di distanza, vicino alla porta d’ingresso dello studio.

Wickemeyer sistemò i vari musicisti intorno all’imbuto che convogliava i suoni vero l’apparato di incisione situato in un ambiente separato. Per ottenere il voluto bilanciamento dispose i vari strumenti a distanze diverse, e registrò dei brevi test, riascoltandoli poi immediatamente per valutare i risultati. In questo modo si accorse che la potenza del suono di Armstrong, allora ventiduenne, rischiava di soverchiare il resto del gruppo, quindi lo piazzò a diversi metri di distanza, vicino alla porta d’ingresso dello studio.

Per l’incisione di “Chimes Blues” in cui si ascolta per la prima volta un solo di Armstrong, Wickemeyer avvicinò Louis al resto del gruppo, catturandone il timbro squillante e ricco. Per la prima volta fu fissata sulla cera la voce strumentale che avrebbe rivoluzionato il jazz e trasformato il solista di ottoni in un protagonista della musica popolare americana.

Per la prima volta fu fissata sulla cera la voce strumentale che avrebbe rivoluzionato il jazz e trasformato il solista di ottoni in un protagonista della musica popolare americana.

Accompagnato solo dalla sezione ritmica, il trombettista si cimenta con la esecuzione di una linea improvvisata che non ha ancora il carattere di assolo compiuto, e suona – ha scritto Gunther Schuller – come se fosse estratta pari pari da una delle polifonie improvvisate che caratterizzavano il jazz di New Orleans.

Armstrong tuttavia esegue correttamente le armonie del brano, malgrado la band oscilli tra armonie maggiori e minori. “Chimes Blues” vede la prima esposizione del tema affidata all’intero gruppo; segue un assolo di Dodds e poi la Hardin al piano ricrea l’effetto del suono delle campane punteggiato dallo stop time dell’ensemble. Il solo di Armstrong è costituito dalla ripetizione di due semplici cellule derivate dal tema che vengono trasposte d’altezza in corrispondenza al movimento armonico del brano. L’idea è chiaramente già stata preparata, e lo stile ritmico di Armstrong è messo in evidenza dal suo timbro pieno e dai contorni ben definiti delle sue note; il fatto che l’accompagnamento sia limitato alla sola ritmica rende più facile seguirlo. Quando l’editore Melrose Brothers, associato della Gennett, pubblicò a Chicago l’arrangiamento “Chimes Blues” l’assolo di Armstrong venne trascritto nota per nota e inserito nello spartito.

Il giorno dopo venne registrato il più celebre assolo di King Oliver, con i suoi effetti wah-wah, in “Dippermouth Blues”, composto peraltro assieme al suo più giovane collega. Lo stile dialogante a due cornette, che aveva reso popolare la band di Oliver a Chicago, è particolarmente in rilievo in “Snake Rag” inciso anch’esso il giorno dopo e poi ripreso qualche settimana dopo per la Okeh.  

La Gennett e la creazione della discografia jazz

Nel luglio dello stesso anno Jelly Roll Morton incise per la Gennett i suoi primi dischi da solista: titoli come “The Pearls”, “Wolverine Blues” e “King Porter Stomp” sono diventati pietre miliari della storia del jazz nella transizione dallo stile ragtime alla polifonia orchestrale. E durante il suo soggiorno a Richmond Morton prese parte anche a una delle prime sedute di registrazione “miste” della storia del jazz, incidendo lui, creolo di colore di New Orleans, con la band bianca dei New Orleans Rhythm Kings.

La città dell’Indiana era anche uno dei più virulenti centri di attività del Ku Klux Klan e la ditta – senza il marchio Gennett – aveva nel frattempo materialmente prodotto i 78 giri con gli inni del KKK, “The Bright Fiery Cross” e “The Jolly Old Klansman” rendendo ben chiaro che le sue scelte non erano dovute a un qualche programma ideologico ma solo a intelligente strategia commerciale. In meno di due anni la Gennett avrebbe messo su cera il lirico cornettista Bix Beiderbecke e il compositore Hoagy Carmichael, incidendo per prima nel 1927 “Stardust”. 

Le registrazioni della Gennett resero celebri i nomi di questi musicisti, e in particolare lanciarono la carriera di Armstrong verso la band di Fletcher Henderson a New York e poi negli studi della Okeh per registrare il primo gruppo a suo nome, gli Hot Five. Ma le attività della piccola etichetta dell’Indiana non si limitarono a questo: oltre a King Oliver, la Gennett incise e pubblicò i primi dischi di Earl Hines; tre facciate di Sidney Bechet, e sei di Duke Ellington; i fondatori del country come Gene Autrey, Ernest Stoneman ed Uncle Dave Macon; anche la musica soffice di Guy Lombardo e Lawrence Welk mosse i suoi primi passi con la Gennett.

Alcuni di questi artisti non incisero a Richmond, ma nello studio aperto dall’etichetta a New York.

I dischi di Oliver, come molti altri dell’etichetta, sono testimonianze preziose di un’era in cui l’etnomusicologia non si era ancora interessata della musica urbana africano-americana. Specialmente la prima serie delle incisioni Gennett riproduce fedelmente per quanto possibile il modo di suonare che aveva avuto un successo travolgente a Chicago.

Fu la Gennett, irriverente e periferica etichetta indipendente, a determinare il corso del jazz nei decenni successivi, anche se a causa della Grande Depressione rimase senza la possibilità di aggiornare gli impianti e scomparve. In questo processo la prima seduta d’incisione di King Oliver con Louis Armstrong, il 5 aprile del 1923, costituì un passaggio decisivo.

Bibliografia

Albino e Gianandrea Zanone, Luci e ombre a Sopralacroce, Storia e testi tra Settecento e primo Novecento, Internòs, Chiavari 2014

John Edward Hasse, Gennett Records Waxed Jazz in a Shack by the Track, "Wall Street Journal", April 2, 2023

Rick Kennedy, Gennett Records and the Rise of America’s Musical Grassroots, Indiana U. P. II ed. rivista, Bloomington 2014

Dan Morgenstern, note di copertina al box di 4 Cd Louis Armstrong — Portrait Of The Artist As A Young Man (1923-1934), Columbia 1994

Gunther Schuller, Early Jazz – Its Origins and Development, Oxford University Press, 1968

Tom Tsotsi, Gennett-Champion Blues: Richmond Indiana 1923-1934 (Pt. 1-3), "78 Quarterly" Vol. I N. 3, 4 e 5, 1988-1990

Star Gennett Foundation, History of the Starr Piano Company and Gennett  Records, https://www.starrgennettfoundation.org.

 

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