Da un lato l’annunciata e ormai imminente uscita di un nuovo disco, il sesto contando live e mini produzioni; dall’altro il varo di un’inedita versione raddoppiata del trio, con l’aggiunta di tuba (Glauco Benedetti), trombone (Filippo Vignato) e chitarra baritono (Gabrio Baldacci). Nel mezzo concerti, prove, video, viaggi e incontri. Ce n’è più che a sufficienza per una chiacchierata con gli Hobby Horse, al secolo Dan Kinzelman (sassofoni e clarinetti), Joe Rehmer (contrabbasso) e Stefano Tamborrino (batteria). Senza troppi giri di parole: una delle meglio cose capitate alla musica, non solo improvvisata, negli ultimi dieci anni.
Direi di iniziare dalla scadenza più imminente, ovvero il debutto di Ghost Horse, il sestetto che venerdì 26 maggio presenterete a Magenta nell'ambito di una produzione-residenza curata da Enrico Bettinello per Novara Jazz. Com'è nata l’idea di espandere e raddoppiare gli Hobby Horse?
JOE REHMER: «Era da un pezzo, direi da almeno un anno e mezzo, che ci frullava in testa l’idea di unire il nostro trio con il quartetto Ghost di Dan [del quale fanno parte Mirco Rubegni, Manuele Morbidini e Rossano Emili ad ance e ottoni vari. N.D.R.]. Una fusione che non solo rispondeva a un’esigenza naturale, ma rappresentava una sfida musicalmente molto stimolante. Per quel che mi riguarda, poi, sono sempre stato affascinato dai gruppi modulari».
DAN KINZELMAN: «Devo dire per onestà che all’inizio la cosa mi spaventava un po’. Sentivo è vero la spinta a trovare un punto di incontro tra i due gruppi, ma l’idea di un sestetto, logisticamente parlando, rappresentava un’incognita non da poco. Già è difficile muoversi in tre, cercare e trovare concerti, ritagliarsi il tempo per le prove, figuriamoci in sei».
Poi è arrivato l’invito ufficiale di Novara Jazz, che replicando la formula messa a punto due anni fa con l'European Orchestra di Wayne Horvitz e replicata l'anno scorso con l'ottetto Land of Spirals di Rob Mazurek, vi ha garantito il palco per l’esordio e quattro giorni di residenza per le prove.
DAN KINZELMAN: «E da lì abbiamo iniziato a ragionare seriamente sul sestetto e su come realizzarlo, sul materiale e sugli arrangiamenti».
STEFANO TAMBORRINO: «Pensando a chi potevamo chiamare e accantonando l’idea di unire il trio con il quartetto Ghost per una questione puramente timbrica: per le idee che avevamo in testa ci servivano strumenti dal registro più grave. Il nome Ghost è rimasto, è vero, ma a questo punto è soltanto un riferimento ideale».
Come avete scelto i musicisti da coinvolgere?
JOE REHMER: «Abbiamo buttato giù un primo elenco sommario e poi stringendo il cerchio siamo arrivati ai nomi di Filippo Vignato, Glauco Benedetti e Gabrio Baldacci. Si tratta di musicisti che conosciamo molto bene e con i quali abbiamo lavorato in altri contesti. Musicisti che ci piacciono, sia artisticamente che umanamente, che hanno un certo suono e una certa visione. Il trio Hobby Horse per noi è sempre stato una sorta di dialogo aperto: ora ci saranno altre voci con le quali interagire e confrontarsi».
STEFANO TAMBORRINO: «Il piano musicale e umano non possono essere separati, in questo senso. L’esperienza di condividere un gruppo deve essere stimolante a tutti i livelli: con Glauco, Filippo e Gabrio siamo sicuri che lo sarà».
Colpisce il fatto che abbiate scelto solo strumenti che si muovono su frequenze basse.
JOE REHMER: «Ma è da sempre una caratteristica di Hobby Horse quella di prediligere le frequenze basse. E quindi anche da questo punto di vista è stata una scelta molto naturale quella di optare per un certo tipo di voci. Fermo restando che prima di tutto ci sono i musicisti: come suonano, la loro personalità, il loro approccio».
Per il sestetto avete scritto materiale nuovo o lavorerete su brani che avete già in repertorio come trio?
STEFANO TAMBORRINO: «Tutto materiale nuovo, equamente diviso tra me, Joe e Dan. E questo nonostante il fatto che come Hobby Horse possiamo contare su un repertorio piuttosto consistente, almeno una quarantina di brani che facciamo ruotare e ai quali di tanto in tanto torniamo. Ci siamo formati nel 2010 e abbiamo più di trecento concerti alle spalle, oltre alle giornate in studio e alle prove. Ricordo una sera in cui siamo andati avanti per più di tre ore senza mai ripetere una composizione. Ma il sestetto non è il trio: ci sono diversi equilibri e dinamiche più complesse con le quali fare i conti. Perciò abbiamo pensato che la cosa migliore fosse affidarci a materiale completamente inedito».
DAN KINZELMAN: «Con il doppio degli strumenti il rischio caos aumenta esponenzialmente. Certe fughe e certe finestre che per il trio sono una risorsa, un’opportunità, per il sestetto rischiano di diventare dei trabocchetti. Per Ghost Horse ho preparato delle composizioni un po’ più fitte e vincolanti del solito anche pensando a queste incognite».
Composizioni nuove che avete già arrangiato?
DAN KINZELMAN: «In parte. Ma l’idea, che è un po’ anche la filosofia del trio, è quella di scoprire strada facendo quali sono le soluzioni migliori, quali gli spazi. Un modo di lavorare molto empirico. Il nostro processo creativo è sempre stato all’insegna del “si prova e si vede se funziona“. Sarà così anche stavolta: non credo che arriveremo a Magenta con degli schemi definiti».
E l’elettronica? Oltre a sassofoni, clarinetti, contrabbasso e batteria, gli Hobby Horse hanno dalla loro una spiccata propensione per i suoni “aumentati“, se mi passate la definizione. Presenze in qualche modo aliene che poi riuscite magicamente a far convivere con l’anima acustica della formazione. Come vi regolerete con il sestetto?
STEFANO TAMBORRINO: «Abbiamo sempre prestato la massima attenzione alle dinamiche del gruppo nella sovrapposizione tra la parte acustica e quella elettronica. Quest’ultima ha un impatto sonoro molto forte e rischia di creare scompensi. Un synth, per esempio, rispetto a un basso acustico ha una connotazione molto decisa anche a livello di frequenze, un ingombro totalmente diverso: non è così facile farlo entrare al momento giusto, gestendo l’inevitabile botta, l’intensità, e farlo uscire senza strappi, senza che se ne senta la mancanza. È una questione di sensibilità e di continua messa a fuoco. Con il sestetto comunque non cambieremo il nostro approccio: saranno le prove a dirci se e come integrare l'elettronica».
Venerdì la prima a Novara Jazz: poi che ne sarà di Ghost Horse? Immagino che il gruppo sia stato pensato per non essere solamente una produzione speciale.
JOE REHMER: «Certo che no. Vogliamo portare avanti seriamente questo progetto. Con altri concerti e magari, chissà, più avanti anche con un disco. Ci abbiamo lavorato parecchio, investendo risorse ed energie, tempo e attenzioni: ci teniamo che ci sia un futuro per questa formazione».
A proposito di dischi, imminente l’uscita del nuovo Hobby Horse. A che punto siete?
DAN KINZELMAN: «Ci siamo quasi. Restano solo alcuni dettagli da definire: la scaletta, il missaggio finale e poco altro».
Mi raccontavate qualche tempo fa che stavate valutando l'ipotesi di farlo uscire solo in vinile.
JOE REHMER: «Non sappiamo ancora. Stiamo parlando con più di un’etichetta. Ci piacerebbe pubblicarlo in vinile, anche se il formato LP ci costringerebbe a tagliare qualcosa dalla scaletta per questioni di spazio. Vedremo».
L’avete registrato ancora una volta in proprio?
DAN KINZELMAN: «Come sempre. Il fatto che io sia appassionato di tecniche di registrazione ci permette di gestire la produzione dal primo all’ultimo passaggio. Con il lusso di poter lavorare sui ritagli, sugli abbozzi. C’è un brano che si intitola “Drone“, ad esempio, che è nato come improvvisazione tra Stefano e Joe mentre io ero fuori a mangiare un panino. La base mi è piaciuta e ci ho registrato sopra il sassofono. Poi Stefano ha montato un video e lo abbiamo pubblicato su YouTube. Lo studio è più professionale, ovviamente, ma devi entrare con un quadro dettagliato in testa, non c’è molto margine per gli errori. E invece a volte è proprio dagli errori che nascono le cose migliori».
STEFANO TAMBORRINO: «Fare tutto da soli ci ha permesso di accumulare registrazioni su registrazioni in questi anni. Io vivo a Firenze, Dan e Joe a Foligno: non abbastanza vicini da potersi vedere quotidianamente, ma nemmeno troppo lontani. Di solito scegliamo tre o quattro giorni e lavoriamo ininterrottamente dalla mattina alla sera. O meglio: dalla mattina alla notte. In questo modo possiamo permetterci il lusso di sviluppare certe idee, di tornare su altre, di completare cose che magari in un primo momento avevamo deciso di scartare. È un lavoro lungo, a volte frustrante, ma è così che nasce il nostro suono. Questa è la nostra identità più profonda e vera. Hobby Horse è un viaggio».