Festival di ricerca e di scoperta per eccellenza, AngelicA arriva all’edizione numero 27 della sua incarnazione primaverile – Momento Maggio – dal 4 al 31 del mese, a Bologna (con una trasferta a Modena). Il programma è ricco e – come ovvio, trattandosi di AngelicA – piuttosto vario, con l’apice (forse) nel concerto conclusivo, che accosterà un inedito di Sylvano Bussotti con alcune trascrizioni orchestrali di Roscoe Mitchell.
Il fulcro dell’edizione 2017 sembra però essere la voce umana, ai limiti della sua estensione e delle sue possibilità espressive, con la presenza – fra gli altri – di David Moss, Ghédalia Tazartès, Tenores di Bitti "Mialinu Pira", Audrey Chen, Phil Minton, Beñat Achiary (con Erwan Keravec), Annette Peacock, il Piccolo Coro Angelico diretto da Giovanna Giovannini e Silvia Tarozzi e un laboratorio a cura di Cristina Zavalloni. Il programma completo è disponibile sul sito del festival, a cui rimandiamo per i dettagli.
Noi, per orientarci fra le categorie sovrapposte e idiosincratiche della “musica di AngelicA”, abbiamo chiacchierato con il fondatore e direttore artistico del festival, Massimo Simonini.
Quella di AngelicA è la “musica senza genere” per eccellenza… Come si è evoluta la proposta del festival? Esiste ormai uno “stile” – o un genere – “AngelicA”?
«Come diceva Mario Zanzani, che aveva il potere della sintesi – con lui abbiamo fondato il festival: quest’anno sono 10 anni che se ne è andato – bisogna cercare di apprezzare la musica in quanto tale. Un festival deve contenere una ragione sociale, deve cercare un equilibrio fra conosciuto e sconosciuto, con quello che un altro festival non inviterebbe perché “nessuno viene”… Tutte queste voci differenti si aiutano a vicenda, per quanto mi riguarda. È una direzione che ha sempre interessato AngelicA, che parte da una mia esperienza di ascolto, che è sempre stata tale – forse perché non vengo dall’Accademia. Sono una persona che si è sempre cercata i dischi in giro per il mondo, e che ha sempre ascoltato musica etnica, il jazz… Crescendo, si nota che la musica va in una certa direzione, si notano i semi di qualcosa che stava nascendo in un dato momento: ricordo quando comprai Locus Solus di Zorn, solo perché c’era Arto Lindsay fra i musicisti: in 27 anni puoi vedere le trasformazioni, la storia che va avanti, puoi vedere come ci si è trasformati nel tempo, grazie all’ascolto di certe musiche. AngelicA è un contesto fatto di contesti diversi, il pubblico può sentirsi a casa una sera, e un’altra non capire dove si trova».
Qual è il pubblico-tipo di AngelicA? Come è cambiato in 27 edizioni?
«Il pubblico varia sempre: si intrecciano pubblici diversi. Come dico da qualche anno, mi sembra che dal 2000 Bologna – e forse in parte l’Italia – si sia riavvicinata al “genere”, a quella cosa che fa sentire il pubblico un po’ a casa. Anche i grandi festival oggi hanno concerti molto diversi in cartellone, dalla contemporanea a Venditti… Una volta non era così. A parte questo, vent’anni fa c’era una curiosità più alta, anche perché mancava internet. Con internet è facile farsi un’idea, accontentarsi. Oggi c’è meno voglia di immergersi nella musica. Il livello di conoscenza musicale medio, anche degli artisti, è spesso basso».
Una delle caratteristiche di AngelicA è quella di proporre accostamenti inusuali in cartellone…
«Anche decontestualizzare un certo genere fa cambiare un po’ le regole dell’ascolto.
Talvolta, quando si accostano due set molto diversi – come sarà quest’anno nel caso dei Tenores di Bitti “Mialinu Pira” e la voce sola di Ghédalia Tazartès – c’è gente che chiede di entrare dopo. Queste cose mi fanno arrabbiare. Qual è il problema di sentirsi un solo di 40 minuti? Succede anche con set misti fra improvvisazione e musica scritta: c’è gente che esce o entra per gli uni o per gli altri… Ma questi accostamenti non sono fatti per provocazione, sono fatti per vedere se c’è una chiave comune. Questa divisione del pubblico è da un lato interessante, dall’altro ti fa pensare che siamo andati indietro, o che c’è un’altra generazione. O che c’è qualcuno che si è talmente stufato dell’improvvisazione che dopo quattro note ha già capito tutto!».
Come funzionano la direzione artistica del festival e le curatele dei concerti singoli?
«In gran parte dei casi lavoriamo con contatti diretti con i musicisti, come è da sempre nella cifra di AngelicA. Spesso c’è un confronto diretto con i musicisti – o, almeno, nella prima fase della progettazione – per costruire programmi o idee. Tante volte ci sono musicisti che curano un evento: David Moss, con cui ci conosciamo, ha un progetto con Daan Vandewalle, e lo propone ad AngelicA. Io non ho sentito il progetto, ma David Moss e Vandewalle lo curano per il festival. Oppure Walter Rover propone gli Alterations (Steve Beresford, Peter Cusack, Terry Day, David Toop) perché sono tornati a suonare al Café Oto…».
Quale concerto dell’edizione 2017 consiglieresti a un “novizio” che voglia entrare nello spirito di AngelicA?
«Non saprei… Ci sono due serate con l’Orchestra del Teatro Comunale che mostrano bene le evoluzioni di AngelicA in questi anni. La prima è il 19, con un’orchestra di 20-25 insieme a Phil Minton e Veryan Weston, che parteciparono alla prima edizione di AngelicA, e colpirono molti… Presentarono un recital di piano e voce, e quest'anno porteranno diverse “perle”, un repertorio di “canzoni” – con la vocalità di Minton, che può essere molto acida – da vari dischi, arrangiate per un organico più ampio. Già mi aspetto qualche sguardo di orchestrale, come è successo con Charlemagne Palestine! L’idea è che ci sono questi mondi insieme, e che succede per la prima volta ad AngelicA e a Bologna…
L’altra serata con l’Orchestra del Teatro Comunale, il 31 maggio, mette invece insieme una prima assoluta di Sylvano Bussotti, Violoncello Obbligato e Orchestra, con Nicola Baroni – a cui il pezzo era dedicato – al violoncello, e quattro pezzi di Roscoe Mitchell, improvvisazioni in trio trascritte per grande orchestra, con lui ospite… Già fare Bussotti con Mitchell, ma farlo così… a me dà un grande senso di libertà, nel senso di andare incontro al suono dell’altro, di mettere insieme suoni lontani.
Poi c’è concerto al Comunale di Modena di Annette Peacock, il 23 maggio, in prima assoluta. Anche questa sarà una cosa curiosa: lei – pianoforte, tastiere e voce – ha scelto di lavorare con due batteristi con storie molto diverse, Roberto Dani e Roger Turner.
Oppure, ancora, il 30 maggio: Francesco Filidei è compositore molto suonato, con un certo seguito nel mondo. È organista, suonerà l’organo della Chiesa dei Servi, e lo suonerà in improvvisazione in duo con Roscoe Mitchell… Te lo immagini un compositore contemporaneo che fa un’improvvisazione in una chiesa italiana, come faceva Messiaen?».
"il giornale della musica" è media partner di AngelicA per l'edizione 2017