Come anticipato nell’intervista a Cristiano Calcagnile di pochi giorni fa, due dei musicisti che contribuiscono al progetto Multikulti, il trombettista Gabriele Mitelli e il vibrafonista Pasquale Mirra, sono anche protagonisti di un duo, Groove&Move, che ha recentemente pubblicato il disco Water Stress (Caligola Records).
Anche in questo lavoro l’influenza di Don Cherry – viene naturale l’associazione con il duo MU insieme al meraviglioso batterista Ed Blackwell – è dichiarata e benefica, dando vita a quella che altrove ho definito «un meraviglioso teatro tascabile di dettagli e profumi». Giocano con gli strumenti, condividono un modo primigenio e insostituibile di costruire, attraverso la pratica stessa dell’improvvisazione, mondi in grado di accogliere l’ascoltatore – quanta improvvisazione, anche interessantissima, risulta invece a volte poco “ospitale”… – come dentro una stanza in cui sognare e passare qualche ora assieme.
Una stanza dove, questa volta, abbiamo voluto fare una chiacchierata.
Come nasce questo duo? Come lavorate sulla musica?
Gabriele Mitelli: «Groove&Move nasce circa un anno e mezzo fa. Con Pasquale già si suonava in altre formazioni e si parlava spesso della volontà di passare del tempo insieme per suonare e confrontarci. Così un pomeriggio ci siamo trovati a casa mia e dopo una lunga improvvisazione senza tirare il fiato abbiam capito che il feeling non era soltanto personale ma anche sonoro.
Per quanto riguarda la musica, il gioco è spiazzarsi e sorprenderci a vicenda; abbiamo un calderone di pezzi originali e brani che ci piacciono molto e ogni tanto, durante l’improvvisazione, spuntano, più o meno astratti e poi se ne vanno via, portando la musica in altre direzioni».
Ho l'impressione che nel vostro lavoro l'influenza di Don Cherry (così come avviene nel progetto Multikulti di cui fate parte) sia più legata alla pratica musicale che non tanto o non solo al materiale. Mi piacerebbe qualche riflessione da parte vostra sull'attualità del suo approccio (nonché della sua musica).
Gabriele Mitelli: «Cherry non è “un’ispirazione” del duo, ma penso sia piuttosto un riferimento quotidiano mio e di Pasquale. Il suo approccio ha condizionato profondamente il mio modo di avvicinarmi allo strumento, alla musica in generale... alla vita. La ricerca di un suono, al di là di ciò che lo strumento utilizzato in maniera canonica ti consente di fare, ti permette di vivere la musica come l’espressione del presente, il tuo, senza schemi e senza parametri di avvicinamento a ciò che vuoi esprimere o a ciò che senti in quel preciso istante, ma l’esatta coincidenza con il sé e il dove. Proprio per questo la musica di Cherry e il suo modo di avvicinarsi al suono non perderanno mai la vicinanza alla quotidianità contemporanea».
Pasquale Mirra: «È come dice Gabriele, Don Cherry è prima di tutto una grande fonte di ispirazione quotidiana. Ascolto la sua musica quasi ogni giorno, sento il bisogno di ascoltarlo. Ancora una volta, come mi capita spesso, devo ringraziare Hamid Drake che mi ha dato la possibilità di "scavare" e approfondire la musica di questo straordinario musicista. Hamid ha suonato molto con Don Cherry e, nei nostri lunghi viaggi, non ho perso occasione per fargli qualche domanda riguardo le dinamiche musicali di quegli anni, i lunghi tour affrontati insieme, il pensiero musicale di Cherry. Questo ha amplificato la mia curiosità e il mio interesse. La musica di Don Cherry agisce sul mio stato umorale, mi parla di popoli, mi racconta la vita e mi dona sollievo, riesce a rendermi felice e la considero fortemente curativa!»
A questo proposito, nelle interviste si chiede sempre "cosa ascolti" e vengono fuori spesso risposte virtuosissime. Io invece vi chiederei di confessare un guilty pleasure, qualche ascolto che vi piace e che uno non avrebbe mai sospettato da voi...
Gabriele Mitelli: «Ascolto la musica che mi interessa a casa, davanti alle casse, ma ascoltarla in vigneto, mentre poto, defoglio o lego i tralci mi porta a cercare una musica che leghi con l’ambiente che mi circonda e anche con ciò che sto facendo, ed è qui che arrivano gli ascolti più lontani, o forse anche no, dai suoni che riproduco. Mi viene in mente Franco Fanigliulo, parte anche delle serate in compagnia di amici e buon vino, Piero Ciampi, che mi fa apprezzare le nuvole nere “cionfe” di acqua, Nick Cave, Nick Drake, CCCP, CSI, Robert Wyatt. Avvicinandosi invece ai "suoni nostri" mi viene da pensare a Disco 3000 di Sun Ra, The Ballad of the Fallen di Carla Bley con Charlie Haden e la Liberation Music Orchestra, i progetti Hobby Horse e Ghost di Dan Kinzelman, Blasé di Archie Shepp, il trio di Craig Taborn, il solo di Cristiano Calcagnile, i dischi di Cherry, Sound del sestetto di Roscoe Mitchell, la musica di Henry Threadgill, il solo di Evan Parker, Wadada Leo Smith e tantissimi altri».
Pasquale Mirra: «Non saprei quali sono gli ascolti che mi piacciono che uno non avrebbe mai sospettato, certo ascolto generi diversi. Ho cominciato da piccolo a suonare con le bande e ho un fantastico ricordo delle marce sinfoniche (che mi capita di riascoltare) e delle marce funebri, passione che condivido con il mio amico Tony Cattano... non è un caso se sono presente nel suo ultimo e fantastico disco L'uomo poco distante, che certamente conoscerai. Ascolto Robert Wyatt, Nick Cave, Tim Buckley, Nick Drake, Lhasa de Sela, Hanne Hukkelberg, Pierre Bastien, La Famiglia, Jim O'Rourke, Fabrizio Puglisi, Lansinè Kouyatè, Edoardo Marraffa, Mop Mop, Michele Rabbia, Rob Mazurek, Cristina Donà e potrei continuare...»,
Siete proprio “senza peccato”… sono piaceri non molto guilty! [Ridiamo]. Spesso in questi ultimi anni le formazioni ridotte come i duetti sono state molto frequentate anche per ragioni di economia, a volte perdendo per strada la fondamentale intimità che sta alla base di questa pratica musicale e delle sue possibilità di condivisione. Quale pensate sia l'ambito/ambiente migliore per condividere con voi la musica del duo?
Gabriele Mitelli: «Diciamo che se un musicista pensa alla propria economia in questo momento storico è proprio meglio cambiar mestiere perché nel marasma della miriade dei progetti che uno deve collezionare per non riuscire a stare a galla, il rischio è proprio quello di perdere la ritualità della musica e il potere comunicativo che c'è al suo interno. Allora che fare per il bene del proprio futuro e di quello altrui? Non lo so di preciso. Penso che non ci sia necessariamente un ambito o un ambiente migliore. Credo che ci siano direttori artistici migliori, organizzatori migliori e uffici stampa migliori ma purtroppo, spesso, hanno le possibilità peggiori. Forse dando a figure professionali "migliori" le possibilità "migliori" si avrà anche un pubblico "migliore" e l'ambito o l'ambiente ne guadagneranno di conseguenza».
Pasquale Mirra: «Ho da anni la fortuna di suonare e realizzare progetti in duo, ma mai le ragioni sono state di carattere economico. Inoltre ho avuto modo di constatare che avere una formazione piccola non aumenta le possibilità lavorative. Il duo è introspettivo: è la comunicazione tra due persone che hanno voglia di conoscersi, che potrebbero "parlare" tanto ma devono riuscire a essere essenziali. Il duo è un gioco meraviglioso! Gli ambiti che preferisco per questo tipo di formazione sono sicuramente quelli dove è più facile possa crearsi una maggiore intimità tra i musicisti, ma anche tra pubblico e musicisti. Dove l'energia possa percepirsi e la condivisione è totale. Immagino i posti in cui mi è capitato di suonare e ho percepito questo tipo di sensazioni: chiostri, boschi, house concerts, ma anche teatri, piccole spiagge. In tutti questi posti la costante è sempre stata sicuramente l'impeccabile direzione artistica e l'ottima organizzazione dei festival».
Avete mai pensato a un progetto rivolto ai bimbi? Secondo me ci sono le potenzialità…
Pasquale Mirra: «Personalmente lavoro o meglio, gioco con i bambini da ormai sette anni. E provo a risponderti in maniera sintetica anche se non è facilissimo. Con il percussionista Danilo Mineo condivido un laboratorio di musica e gioco rivolto ai bambini delle scuole primarie. Lavoriamo molto nelle scuole bolognesi, ma da qualche anno è diventato un progetto itinerante e abbiamo collaborato e collaboriamo con svariati festival e Comuni. Si tratta di una sensibilizzazione al riciclo; finito l'utilizzo primario di un oggetto, cerchiamo insieme di trovare una funzione secondaria e nel nostro caso, costruire strumenti a percussione. All'attivo abbiamo 40 tipi di strumenti, alcuni anche molto complessi da costruire. È di prossima uscita un libro illustrato per la costruzione degli stessi e in allegato un disco dove è possibile ascoltare il suono di ogni singolo strumento. Nei giorni di laboratorio parliamo di organologia degli strumenti, mostriamo i diversi strumenti a percussione, spieghiamo le origini e le etnie dei diversi strumenti a percussione, e lavoriamo sull'educazione all'ascolto. In seguito i bambini imparano a costruire gli strumenti mostrati e terminata la costruzione, si passa alla conduction: insegno ai bambini una serie di segni che mi permettono di dirigerli e di farli suonare tutti insieme, dopodiché si suona si gioca e ci si diverte».
Quali sono gli strumentisti che ritenete attualmente più interessanti in relazione al percorso che state facendo?
Gabriele Mitelli: «Se si parla di musicisti ancora in vita mi viene da pensare a Rob Mazurek, Axel Dörner e Peter Evans. Purtroppo scomparso: Don Cherry».
Pasquale Mirra: «Jason Adasiewicz, Walt Dickerson, Roy Ayers, Bobby Hutcherson».
Quali i possibili sviluppi della vostra collaborazione?
Gabriele Mitelli: «Per il futuro stiamo allargando le sonorità con l’elettronica e altri suoni acustici trovati tra chincaglierie improbabili e tra poco ci troveremo per iniziare a sperimentare!».
Pasquale Mirra: «Presto ascolterai. Intanto riascolta ancora un po’ questo disco... ti ha già stancato?».
Come forse immaginate, un lavoro come il mio comporta l’ascolto continuo di cose nuove e poco tempo per riascoltare con calma e piacere, ma ti rispondo che no, non solo non mi ha stancato, ma devo anche confessare che insieme al disco di Calcagnile e a quello di Danilo Gallo Dark Dry Tears, è uno dei pochi lavori che ho recentemente il desiderio di rimettere su con frequenza.