Kaitlyn Aurelia Smith
EARS
Western Vinyl
Dopo due album promettenti come Tides (del 2014) e Euclid (dell'anno dopo), la compositrice cresciuta nell'isola di San Juan, sull'angolo nord-ovest dello Stato di Washington, e poi studentessa in sound engineering al Berklee College Of Music, riesce finalmente ad imporsi come piccola maga dei synth. Il richiamo, stavolta, più che a Terry Riley e al minimalismo storico, è da una parte a una pioniera "synthetica" quale Suzanne Ciani, e dall'altra al Jon Hassell sognatore di mondi impossibili. EARS, la sua nuova fatica, contiene otto tracce, tutte mediamente brevi (fra i tre e i quattro minuti), eccetto quella finale (che oltrepassa di poco gli undici). Queste tele dipinte prevalentemente a suon di Buchla 100 modular synthesizer, incorporano la voce come un elemento fra gli elementi della ricetta sonora, creando degli imaginary landscapes ispirati alle prime forme di vita sulla Terra (si ascoltino i "brulicanti" tre minuti e mezzo di "Arthropoda").
Altre volte, invece, a prevalere è la dimensione onirica, tipo in "Rare Things Grow" (con tanto di sax in bella evidenza), che ci catapulta in un mondo dove la ripetizione è ricchezza e le tradizioni musicali (qui quelle centroafricane) vengono assimilate e rielaborate con lo spirito di un etnomusicologo. Suzanne Ciani, Laurie Spiegel, Oskar Sala rimangono senza dubbio i nomi di riferimento per la sua musica, che gioca sulle variazioni ritmiche alla maniera dei minimalisti storici, ma riesce a trovare la quadratura del cerchio (come nel precedente Euclid) in rappresentazioni sonore geometriche capaci di evitare i formalismi sterili (nelle sue interviste la Smith sottolinea sempre l'importanza dei cosiddetti "ghosts in the machine" - ossia dei suoni inaspettati ma affascinanti che ogni synth produce - scoperti a sedici anni durante la sua prima esperienza di lavoro assieme ad un filmmaker). Mai sopra le righe, mai eccessiva, l'arte di Kaitlyn Aurelia Smith è un frutto maturo destinato inevitabilmente a pochi.