Wilco, la più incredibile live band in circolazione

Al Fabrique di Milano Jeff Tweedy e i suoi Wilco anticipano Ode to Joy (in uscita a ottobre) 

Wilco - Fabrique Foto Fabio Izzo
Wilco al Fabrique (foto Fabio Izzo - Fabrique)
Recensione
pop
Fabrique, Milano
Wilco
19 Settembre 2019

I primi Wilco non si scordano mai. Giugno 2004, cortile dei Salesiani di Chiari, tra i fossi, le zanzare e i campi di mais della profonda provincia bresciana (è successo davvero, non vi sto prendendo in giro): A Ghost Is Born era uscito da una manciata di giorni (prendendo possesso in pianta stabile del mio lettore CD), Jeff Tweedy si era appena scrollato di dosso la scimmia degli antidolorifici e Nels Cline aveva appena portato a sei il conto dei membri della band. Ricordo il caldo micidiale e le sedie di plastica, ricordo i canestri del campetto da basket nella penombra a lato del palco, ricordo l'entusiasmo misto a incredulità del presentatore («Questo è un sogno che diventa realtà: From Chicagooooo, Wilcooooo!»), e soprattutto ricordo che me ne tornai a casa folgorato e per sempre convertito.

Da allora quindici anni di devozione assoluta alla più incredibile live band in circolazione. Perché se i dischi passano (l'undicesimo, Ode to Joy, uscirà il 4 ottobre), e l'inquieta genialità di Being There eYankee Hotel Foxtrot ha ceduto via via il passo a una magistrale e pacificata maturità, dal vivo Tweedy e compagni erano e restano una macchina perfetta.

La conferma, l'ennesima (la sesta per chi scrive), qualche giorno fa sul palco del Fabrique di Milano. Due ore e mezza di Wilco a rotta di collo, in forma invidiabile e smagliante. A ribadire una sempre più conclamata centralità nel panorama della musica "americana" dell'ultimo quarto di secolo, figlia di una personalissima visione del concetto di "canzone" che è allo stesso tempo sintesi e superamento di ottant'anni di sublime storia: la matrice dylaniana e il debito mediato nei confronti di Woodie Guthrie (immancabile "California Stars", scritta e mai incisa dal cantastorie dell'Okhlaoma e musicata con Billy Bragg), l'eclettismo e la padronanza dei ferri del mestiere che furono della Band (nel vorticoso roteare di tastiere, pedali, effetti, percussioni assortite, chitarre, chitarrini e chitarroni, spuntano pure una melodica, un dobro, un banjo e un glockenspiel: non siamo ai livelli della copertina di Basement Tapes ma poco ci manca), la compattezza e l'impeto dei Crazy Horse (il Tweedy chitarrista elettrico ha molto della chiassosa baldanza di Neil Young), le cristalline geometrie alla Television, l'anima squisitamente alt-country ("Boxfull of Letters", cartolina southern direttamente dal 1995) e le radici ben piantate nella Chicago obliqua e kraut dell'era post (sciacquarsi i panni nei grandi laghi in compagnia di Jim O'Rourke ha lasciato eccome il segno).

Il tutto declinato con stupefacente facilità lungo una scaletta piena zeppa di canzoni clamorose: il colpo dritto al cuore di "I'm Trying to Break Your Heart", piazzata al numero tre della serata, dopo un paio di anticipazioni di quel che ci aspetta su Ode to Joy ("Bright Leaves" e "Before Us"), "War on War", "Handshake Drugs" (vertice assoluto), la deliziosa "Hummingbird", "Via Chicago" (fatta a pezzi con la solita, visionaria crudeltà), la malinconica "How to Fight Loneliness", "Random Name Generator", "Heavy Metal Drummer" (applausi, applausi e ancora applausi), "I'm the Man Who Loves You", l'inevitabile "Jesus, Etc.", "Theologians" (perla tra le perle), "Misunderstood" (con quel "nothing" liberatorio urlato al cielo per una decina di volte prima degli ultimi due bis).

E ancora: il crescendo implacabile e disturbante di "Bull Black Nova", l'irresistibile "Dawned on Me", "The Late Greats", esempio supremo di complessa semplicità applicata all'arte di scrivere canzoni, e infine l'attesa e acclamatissima "Impossible Germany", spaccata in due da un solo di Nels Cline da spellarsi le mani e scandita dal drumming irrefrenabile di Glenn Kotche (ma quante band al mondo possono contare su un batterista del genere?).

«Niente "Spiders" stavolta», il commento intercettato all'uscita di un anonimo pagante. Peccato, è vero. Ma sarà per la prossima volta: noi ci saremo.

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