I turbamenti del non più giovane Bombino

Un grande live al nuovo Jumeaux Jazz Club di Losanna (con il dubbio che a Bombino lo status di condottiero tuareg cominci a pesare)

Bombino
Bombino (foto di Lara Cocciolo, dal sito dell'artista)
Recensione
pop
Jumeaux Jazz Club, Losanna
Bombino
02 Febbraio 2024

Un paio di canzoni suonate con l’acustica per rompere il ghiaccio e convogliare il folto pubblico vicino al palco, allontanandolo dalle distrazioni del bar. Poi Bombino imbraccia la chitarra elettrica e la carovana parte spedita, due ore filate e sudate di concerto più un lungo bis: di meglio non si poteva sperare.

Considerata la notevole affluenza, quelli del Jumeaux Jazz Club si fregano le mani anche stavolta, dopo il sold out per Marc Ribot’s Ceramic Dog della scorsa settimana. Il locale ha aperto i battenti da meno di un mese, è situato a due piani sottoterra di un ampio edificio da poco rimesso a nuovo, strategicamente collocato al centro del Flon, il quartiere della movida losannese. Soprattutto, nella testa del direttore artistico Arnaud Di Clemente c’è l’idea di colmare un vuoto evidente nella cittadina lacustre, la mancanza di una cave adatta ad accogliere jazz poco ortodosso e world music non banale.

Le prime indicazioni, anche a considerare la positiva risposta al botteghino, paiono positive. Staremo a vedere.

– Leggi anche: Gli accordi di Bombino

Nel frattempo constatiamo che Bombino, a dieci anni esatti dalla prima volta che l’abbiamo visto all’opera, continua a migliorare nelle sue prestazioni dal vivo, per quanto il personaggio in sé non sia esattamente un animale da palcoscenico e bene dissimuli un’evidente timidezza di fondo.

A sostenerlo un robusto quartetto che assomma il lavoro oscuro e defilato del chitarrista ritmico Alhassan Kawissan Mohamed, le vellutate pulsazioni a cinque corde del bassista con i guanti Djakrave Dia e il drumming non troppo elegante ma funzionale allo scopo di Wilhelm Corey. In più, nell’occasione si registra la presenza di un tuareg in costume tradizionale, con un meraviglioso copricapo a cresta di gallo (retrattile) e tanto di spada takouba al fianco (come passa le frontiere con quel gingillo?), impegnato a sobillare la folla e a esibirsi di tanto in tanto in agili e acrobatici passi di danza.

Al centro della scena rimangono tuttavia i fantasmagorici riff chitarristici di Bombino, negli ultimi tempi capaci di sopravvivere, nell’ordine, a una nomination ai Grammy, al Covid, a un buco discografico di quasi cinque anni e al colpo di Stato del luglio scorso in Niger.

Sarà anche per l’inevitabile frapporsi della barriera linguistica (nessuno del gruppo perde tempo a spiegare la genesi e i contenuti dei brani), ma con Bombino più passa il tempo e meno naturale viene considerarlo un alfiere della lotta per la salvezza del suo popolo. L’impressione è che sia un ruolo che cominci a pesare allo stesso artista, che magari preferirebbe volentieri fare la rockstar e basta. Non sarà un caso se a un certo punto capita che il portavoce Djakrave Dia prenda il microfono e dica: «Certo che siamo contro la guerra, chi non lo è, ma vorremmo che ognuno tornasse a fare il proprio mestiere: i politici i politici, i militari chiusi in caserma e noi sul palco a far ballare voi».

«Certo che siamo contro la guerra, chi non lo è, ma vorremmo che ognuno tornasse a fare il proprio mestiere: i politici i politici, i militari chiusi in caserma e noi sul palco a far ballare voi».

Aspirazione non coincidente con vari brani estratti dal recente disco Sahel, come “Aitma”, che con il giusto fragore ribadisce la chiamata all’unità dei tuareg dispersi in molte nazioni e “Nik Sant Awanha”, in cui Bombino, conscio della situazione vissuta dai suoi fratelli, conferma di voler continuare a essere il megafono di chi non ha voce.

Nell’aria finiscono però per galleggiare e prevalere l’inesauribile vigore dell’ondeggiante desert blues, lo psych-rock di “Si Chilan”, i temi impregnati di dense tinture reggae, i vertiginosi salti di ritmo all’interno di una stessa traccia. Insomma, come richiede a gran voce la dinamica gioventù sottocassa, let’s dance!, e che si fottano tutti i signori della guerra.

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