Very Practical Trio, musica dal futuro

Il nuovo trio di Michael Formanek, Tim Berne e Mary Halvorson in concerto a Mantova è stupefacente

Very Practical Trio (Michael Formanek, Tim Berne, Mary Halvorson)
Very Practical Trio (foto di Nicola Malaguti)
Recensione
jazz
Very Practical Trio (Michael Formanek, Tim Berne, Mary Halvorson)
Sala delle Capriate, Mantova
19 Gennaio 2019

Anteprima della rassegna You Must Believe in Spring, organizzata dall’associazione culturale 4’33’’ e che vedrà su vari palchi di Mantova un nuovo trio di Francesco Diodati, i Rabbit Rabbit Radio, il trio di Julian Lage, un solo di Nate Wooley accompagnato da danzatrici e altro ancora (per ogni dettaglio visitate il profilo Facebook dell’associazione), il concerto del nuovo trio drumless di tre protagonisti della musica creativa di oggi come Michael Formanek, Tim Berne e Mary Halvorson è di quelli per cui spendere senza remore superlativi.

In apertura un breve solo di Rosa Brunello per contrabbasso, elettronica e voce, preludio ad un disco di imminente uscita. Il finale suona convincente, come un incrocio tra Patti Waters e Julia Holter, un ottimo numero di quello che un tempo si chiamava trip hop, in questo caso free, oscuro. Piace quando comincia a mollare le redini e si lascia andare senza timori nello spazio dove la gravità è solo un ricordo, e allora sono lontanissimi profili wave, ombre di soul, città viste dall’alto, canzoni, loop, memorie di nenie di infanzia. Un work in progress, il coraggio della musicista nel cimentarsi nella complicata dimensione del solo è ammirevole, i risultati perfettibili. Di jazz c’è poco (e per chi scrive questo non è affatto né necessariamente un male, sia chiaro) nella costruzione armonica, molto nella libertà delle strutture, anche se non tutto pare ancora a fuoco.

Poi si resta semplicemente ammutoliti di fronte al magistero di un trio che viene da un tour negli States e ora gira l’Europa in attesa di incidere il primo disco con questo assetto. Un mood kubrickiano, sorvegliato, tesissimo eppure rarefatto, denso e cameristico, un passaggio che ricorda fugacemente la sfinge magnifica di "Lonely Woman" di Ornette, parentesi di folk marziano della Halvorson, sempre un passo indietro, calibratissima e cruciale. Non si avverte affatto la mancanza della batteria, il sax alto di Berne come sempre scova gli spigoli più impervi, Formanek dirige la navigazione con l’autorevolezza di un Ulisse.

Mary Halvorson (foto di Nicola Malaguti)
Mary Halvorson (foto di Nicola Malaguti)

È il suono di una deriva, quello che riempie la sala e rapisce chi ascolta, architetture di un labirinto apparentemente senza uscite, un fare sinuoso. Le movenze sono quelle di un killer elegantissimo e spietato, la ricorsività ipnotica e ambigua la stessa di certe storie di Borges, Bioy Casares o Cortázar. Poliritmie su armonie appuntite, non euclidee, sirene free magnifiche e terribili. Obbligati imprendibili, dispari, temi come lame affilatissime che sfrangiano il tessuto armonico per poi far stillare mille gocce di sangue melodico da una ferita profonda e bellissima.

Quando gli spazi si aprono e gli unisoni feroci e marziali lasciano campo aperto a un benvenuto disordine nitido e misurato, si vola proprio via. Formanek è capace, con i ribattuti, di far suonare il contrabbasso come se fosse effettato, la Halvorson, vista pochi mesi fa sempre a Mantova ma con l’ottetto (qui la recensione di Enrico Bettinello del concerto di Venezia) è perfettamente a proprio agio, selvatica e accademica ipso tempore. 

Il trio distilla blues diabolici, i pezzi scorrono, magmatici e lievissimi, mostrando nevrosi da classica contemporanea, manie compulsive da compositore (ci sono strutture complesse, sia nella scrittura che nell’armonia, in questi pezzi di Michael Formanek, con finali sempre da brivido, climax alla rovescia di cui non puoi intuire mai lo sviluppo: musica realmente imprevedibile).

Il bis ci regala una ballad del 3050 con un Formanek magistrale. Un concerto letteralmente stupefacente.

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