Valchiria "alla militare"

Il regista Carsen ha attualizzato in maniera efficacissima un dramma mitologico in cui si tratta di potere, di ricerca di potere, con Wotan che ha dei progetti costruiti su basi false e vuote, perché parte da un crimine rubando l'anello, ed è quindi condannato sin dall'inizio. Tate è un raffinato cesellatore e dirige analiticamente, ottenendo dall'orchestra suoni puliti, esatti (a parte qualche cedimento degli ottoni). I cantanti, bravissimi, erano tutti sensibilmente consonanti con la linea direttoriale.

Recensione
classica
Gran Teatro La Fenice Venezia
Richard Wagner
25 Gennaio 2006
Con la "Walküre", il dramma più popolare dell'intero Ring, ha preso il via alla Fenice la prima delle tre giornate della Tetralogia wagneriana affidata alla bacchetta di Jeffrey Tate e alla regia di Robert Carsen, cui è stata commissionata l'esecuzione dell'intero Ring che avrà seguito negli anni futuri in una coproduzione con il Teatro dell'Opera di Stato di Colonia. Assente il Ring dal palcoscenico della Fenice dalla lontana stagione 1967-68, la "Valchiria", preceduta da "L'oro del Reno", ebbe nel 1976 una realizzazione conforme alla tradizione primitiva e barbarica. Trent'anni sono trascorsi e non ci sono confronti tra quella messinscena e questa di Carsen, che ha attualizzato in maniera efficacissima il dramma mitologico di provocazioni, in cui - a detta di Carsen che ha firmato con Patrick Kinmonth la produzione - si tratta di potere, di ricerca di potere, con Wotan che ha dei progetti costruiti su basi false e vuote, perché parte da un crimine rubando l'anello, ed è quindi condannato sin dall'inizio. Tutto è tetro, cupo, e la guerra, le ragioni economiche e politiche ad essa connesse, sono attuali. Dunque territorio di guerra novecentesca per questa "Valchiria", che ricorda vagamente l'ambientazione del celebre film "Dove osano le aquile". Il I atto si apre con un nerastro rifugio clandestino in cui si ammassano casse di armi; sull'agitazione turbinosa degli archi e sulle arditezze armoniche, di demoniaca potenza, della pagina, sfilano dei veri pastori tedeschi tenuti al guinzaglio in mezzo alla neve e alla tempesta. Appaiono Siegmund e Sieglinde in pantaloni cargo e casacche mimetiche. Per contro, allo squallore della loro spelonca, fa eco il lussuoso rifugio segreto montano di Wotan (II atto), dove tra enormi divani bianchi, un camino acceso, frutta, drink e un pianoforte ha luogo un'adunanza di gerarchi militari in festa; qui compare Fricka abbigliata Chanel che rammenta vagamente Lana Turner o Kim Novak. L'epoca potrebbe essere anni '40-'50. Ovviamente non vi sono cavalli per le Valchirie e per la stessa Brunilde; una jeep in panne è il rifugio di Siegmund e di Sieglinde. La celebre cavalcata si svolge su un terreno di battaglia, dove le Valchirie camminano sopra cadaveri e feriti ammassati sul terreno nevoso. Emblemi, segni, ad uso dello spettatore odierno, sul tema della guerra. Una splendida lettura su cui meditare. Tate è un raffinato cesellatore e dirige analiticamente, ottenendo dall'orchestra suoni puliti, esatti (a parte qualche cedimento degli ottoni). I cantanti, bravissimi, erano tutti sensibilmente consonanti con la linea direttoriale: la Soffel è apparsa una Fricka nobile ed elegante, belle le voci della Lang e della Baird, appropriato il Wotan di Grimsley e l'Heldentenor Ventris senza macchia, con esiti espressivi superlativi. Omogenee anche le otto Valchirie. Applausi interminabili.

Note: Nuovo all. in coproduzione con l'Oper der Stadt Köln

Interpreti: Christopher Ventris, Siegmund; Kristinn Sigmundsson, Hunding; Greer Grimsley, Wotan; Petra Lang, Sieglinde; Janice Baird, Brünnhilde; Doris Soffel, Fricka

Regia: Robert Carsen

Scene: Patrick Kinmonth

Costumi: Patrick Kinmonth

Orchestra: Orchestra del Teatro La Fenice

Direttore: Jeffrey Tate

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