Ripresentando per la prima volta dopo quasi 150 anni La Marescialla d'Ancre, il teatro Pergolesi di Jesi non aveva la pretesa di resuscitare un capolavoro ingiustamente dimenticato o un'opera che comunque avesse avuto un particolare risalto ai suoi tempi. Infatti quest'opera, la seconda di Alessandro Nini, era stata eseguita per la prima volta in provincia - a Padova - e aveva avuto una buona ma non straordinaria accoglienza, che le aveva consentito alcune riprese in Italia (ma non nei teatri più importanti) e all'estero (ma in paesi marginali: Spagna, Portogallo e America del sud). E a nemmeno vent'anni dalla prima era già stata dimenticata, mentre il suo autore, dopo alcune altre esperienze operistiche, era passato a fare il maestro di cappella in chiese di città secondarie. Nulla d'eccezionale dunque: ma proprio qui sta per noi l'interesse della Marescialla d'Ancre, che può essere considerata esattamente il prodotto operistico medio dell'epoca, appena pochi mesi prima dell'avvento di Verdi.
La scelta dell'argomento rivela il tentativo di superamento del romanticismo lunare di Bellini e Donizetti e la ricerca di sensazioni forti, di contrasti esasperati, di caratteri originali. Ma il libretto - assai mediocre, nonostante i suoi quarti di nobiltà, perché a scriverlo era stato Giovanni Prati, che l'aveva ricavato da un dramma di Alfred de Vigny - si risolve in un una congerie di situazioni assurde e di coincidenze inverosimili. Evidentemente più che la credibilità interessava l'opportunità per melodie vigorose e ritmi infiammati, bruschi, perfino violenti. All'eccitazione sonora contribuiscono un'orchestrazione a forti tinte e improvvise modulazioni a tonalità lontane, quasi stravaganti, che dimostrano che Nini era ben ferrato in armonia. Ma tutto questo non produce un apprezzabile risultato drammatico: sono effetti disseminati qua e là un po' alla cieca, che talvolta danno la comica impressione di scattare al momento sbagliato. Solo verso la fine le cose cominciano a funzionare meglio e ci sono alcune pagine di effetto piuttosto trascinante. Accanto a questa ricerca un po' confusa e velleitaria di nuova drammaticità stanno forti reminiscenze del melodramma donizettiano (l'atmosfera generale di molte scene) e belliniano (alcune citazioni quasi letterali dalla Norma, precisamente dal coro "Guerra! Guerra!", da "Deh, non volerli vittime" e dalla sezione "Per ricovrarci insieme" del duetto Norma-Adalgisa). Si apprezza allora meglio la sapienza (perché ormai è chiaro che si tratta di sapienza e non solo d'istinto) drammaturgica di Verdi, che fin dall'Oberto avrebbe saputo adoperare con maggiore consapevolezza mezzi espressivi non troppo dissimili.
A Padova nel 1839, per la prima rappresentazione di quest'opera, si era messo insieme un cast di grande livello, come s'intuisce dall'impervia difficoltà dei ruoli principali. Anche a Jesi si sono fatte le cose piuttosto bene. Chiara Taigi fa tutto quel che si può fare per dare spessore drammatico alla Marescialla -personaggio molto concitato ma incoerente - e soprattutto padroneggia con stile e sicurezza questa parte da grande soprano drammatico d'agilità. Il tenore Maurizio Comencini è Concini: il personaggio è un po' scolorito e impersonale, ma lui canta con voce tersa e ottimamente impostata, affrontando con sicurezza e compostezza anche il re acuto che chiude la sua grande aria del secondo atto. Il baritono Marzio Giossi ha voce scura e piena, ma col suo canto vociferante e disordinato fa un cattivaccio caricaturale di Michel Borgia, che sarebbe il personaggio melodrammaticamente più coerente dell'opera. Quarto protagonista è Monica Minarelli che ha una voce modesta per colore e spessore ma sa usarla con intelligenza e riesce a dare un po' di carattere all'evanescente figura di Isabella. Quanto ai ruoli secondari, il basso Francesco Palmieri ha voce sufficientemente nera per il perfido De Luynes e Stefano Consolini si conferma un buon tenore caratterista nella parte politically uncorrect dell'alchimista ebreo. Peccato che Fabrizio Maria Carminati diriga tutto a passo di carica e con sonorità bandistiche, sciupando le parti più liriche e appiattendo anche le parti più corrusche, che nell'esagitazione generale finiscono per non avere il dovuto risalto. Michele Mirabella, di cui sono note le benemerenze televisive ma non quelle operistiche, con la sua regia banale e confusa aggrava la banalità e la confusione di questa vicenda. Scene bruttine di Paolo Calafiore e bei costumi di Paolo Rovati.
Note: Prima rappresentazione in epoca moderna
Interpreti: Taigi, Comencini, Giossi, Minarelli, Palmieri, Consolini
Regia: Michele Mirabella
Scene: Paola Calafiore
Orchestra: Orchestra Filarmonica Marchigiana
Direttore: Fabrizio Maria Carminati
Coro: Coro Lirico Marchigiano "Vincenzo Bellini"
Maestro Coro: Carlo Morganti