Una lady tra fashion e psicoanalisi

Raina Kabaivanska affronta con successo per la regia di Giorgio Marini il musical di Kurt Weill a Palermo costruendo una efficace e nevrotica donna in carriera bisognosa d'amore

Recensione
classica
Teatro Massimo Palermo
Kurt Weill
19 Aprile 2001
C'era un bisogno di liberarsi della figura paterna, in Moss Hart, nato negli slums dell'Upper Bronx, ma il cui cuore batteva per Broadway. E dividendo il suo tempo tra il lettino dell'analista e la collaborazione con Kurt Weill, produsse una delle più sofisticate commedie con musica della scena americana, quel Lady in the dark andata in scena a Palermo in un nuovo allestimento coprodotto con l'Opera di Roma. Non un musical come Show Boat, ma qualcosa di più e di diverso: perché per Hart parole e musica erano parte della struttura di base del musical play. Un peccato, quindi, che per l'edizione palermitana il testo sia stato amputato di oltre il 50 per cento; e forse, nonostante i sopratitoli (Lady in the Dark è stata data in lingua originale), questo è uno di quei casi in cui una traduzione d'autore sarebbe stata ben accetta. La regia di Giorgio Marini, di aristocratica raffinatezza, ha saputo rendere appieno il complesso alternarsi della vicenda (una direttrice di una rivista femminile in crisi entra in analisi e sollecitata dal terapeuta dà corpo a quattro sogni abitati da quattro uomini della sua vita, fino a che l'enigma - costituito dal leitmotiv My ship - svela un irrisolto problema infantile), giocando anche sul moltiplicarsi dei doppi e del gioco degli specchi. Nei quattro momenti, realizzati da Marini con eleganti elementi scenici e variegati effetti di luce, spicca l'arte di Raina Kabaivanska, che sa essere una Liza Elliot elegante, smarrita, angosciata, felina, con una presenza da singing-actress che lascia ancora, dopo oltre 40 anni di carriera, sbalorditi. E se la voce mostra i giusti segni d'usura, la Kabaivanska sa piegarla a pianissimi eterei (come in My ship) o acuti folgoranti (come nella canzone di Jenny). I costumi, old fashioned, di Elena Cicorella, e le scene rotanti di Lauro Crisman (realizzate infelicemente al punto da rendere invisibile dalla platea gran parte dello spettacolo) mal si coniugavano con una direzione, di Steven Mercurio, incapace di rendere tutti i colori della tavolozza di Weill (l'eco del valzer, la rumba di Girl of the moment, l'evocazione del bolero in This is new). Calma grigia su tutti i fronti anche nelle rozze coreografie di Mario Piazza (qui ci voleva la colta citazione in stile Balanchine). Ottimo il nutrito cast, in cui spiccavano Julia Wade e Shon Sims, e il duttile ensemble vocale di OperaLaboratorio.

Note: nuovo all. in coproduzione con il Teatro dell'Opera di Roma

Interpreti: Kabaivanska/Daniel, Quilico/Schuman, Wade, Sims, Ledbetter

Regia: Giorgio Marini

Scene: Lauro Crisman

Costumi: Elena Ciccorella

Orchestra: Orchestra del Teatro Massimo di Palermo

Direttore: Steven Mercurio

Coro: Coro del Teatro Massimo di Palermo

Maestro Coro: Franco Monego

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