Un Lohengrin intimista

Gian Carlo Menotti torna alla regia e, nonostante i molti ostacoli e imprevisti, riesce a darci un Lohengrin di semplice e toccante bellezza.

Recensione
classica
Festival dei due Mondi Spoleto
Richard Wagner
28 Giugno 2003
A novantadue anni Gian Carlo Menotti è tornato alla regia per realizzare un suo vecchio sogno, mettere in scena il Lohengrin. Ma è improbabile che abbia potuto fare il Lohengrin che sognava. Infatti ha avuto grossi problemi con lo scenografo-costumista, che ha abbandonato la produzione e ritirato la firma, lasciando in eredità scene non brutte ma talmente essenziali da sembrare non finite e costumi decisamente brutti e talmente casuali da sembrare presi in gran fretta in un magazzino, mescolando medioevo semibarbarico e sontuoso rinascimento. Inoltre ha avuto un coro di pochi elementi e di pochissima esperienza scenica, palesemente imbarazzato anche quando non gli viene chiesto altro che restare immobile ai lati del palcoscenico. In compenso ha avuto solisti fisicamente perfetti per i rispettivi personaggi e con loro ha potuto lavorare ottimamente, dimostrando che come musicista conosce e ama profondamente questa partitura e come regista sa fare di ogni sguardo e di ogni gesto lo specchio dell'anima dei personaggi. E alla fine, nostante tutte le difficoltà e gli imprevisti, riesce a realizzare un Lohengrin di semplice e toccante bellezza. È una regia basata su piccoli dettagli, realistici e insieme poetici, che danno un visione quasi intimista del Lohengrin, cui contribuiscono anche quelli che in origine erano limiti, come le dimensioni cameristiche del palcoscenico, la povertà delle scene, la scarsezza di coristi e figuranti. E vi contribuiscono anche le caratteristiche vocali dei protagonisti. La voce un po' esile ma vibratile di Elizabeth Hagedorn, unita alla sua figura alta, snella e bionda, rende Elsa eterea ed emozionante. Lohengrin è Thomas Rolf Truhitte, che ha una linea di canto luminosa, tersa e pura, in cui scorre però una bellezza sensuale, così come la sua testa d'angelo biondo e quasi asessuato poggia su un corpo di scultorea potenza: un'ambiguità che esplode nel duetto della camera nuziale, cui Menotti ha voluto dare un'insolita carnalità. La voce cupa e aspra di Victoria Livengood e la sua forte e magnetica personalità danno grande rilievo all'orrore del mondo demoniaco di Ortrud. Il suo complice e succube Telramund ha avuto una disavventura: Lucio Gallo, indisposto, dopo il primo atto si è limitato a mimare l'azione, mentre Johannes von Duisburg lo doppiava con voce scura e potente ma povera di sfumature. Paterno che maestoso il Re Heinrich di Pavel Kudinov. Adeguatamente stentoreo l'Araldo di Stephen Owen. Il coro, ultimo fondamentale protagonista, è piuttosto debole, non solo per esiguità numerica. Piuttosto precisa ma povera di rilievo, di colore e di emozione la direzione d'orchestra di Mark Stinger. In buca i giovani strumentisti della Juilliard School di New York, che hanno una tecnica ferrata ma un suono piuttosto acerbo, che passa da "pianissimo" privi di corpo a "fortissimo" fragorosi.

Interpreti: Truhitte, Hagedorn, Livengood, Gallo/ von Duisburg, Kudinov, Owen

Regia: Gian Carlo Menotti

Scene: Johan Engels

Costumi: Johan Engels

Orchestra: The Juilliard Orchestra

Direttore: Mark Stringer

Coro: The State Academic Symphony Capella of Russia

Maestro Coro: Valery Polyansky

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