Che "Il Trovatore" sia stato scelto per i momenti culminanti del centenario verdiano (le inaugurazioni della Scala, del Maggio e dell'Arena, nonché il Verdi Festival) dimostra che è l'opera verdiana per eccellenza, ma le approvazioni (poche) e le critiche (molte) che hanno accolto tutti questi allestimenti dimostrano anche quanto sia difficile eseguire Verdi oggi. La causa sta non tanto nella scarsezza di voci quanto nell'incapacità d'accostarsi a Verdi con naturalezza e immediatezza: la controprova sta nel fatto che "Il Trovatore" messo su ora dall'Opera di Roma senza tanti problemi e senza grandi ambizioni (e senza cercare l'evento a tutti i costi) non è stato certo peggiore degli altri, anzi... Il direttore, trovato quasi all'ultimo minuto, è Paolo Carignani: stacca tempi incandescenti e corruschi, in cui i momenti d'incanto lirico s'aprono come squarci di cielo stellato tra nubi tempestose; dà grande risalto ai colori di un'orchestra che già col triplice rullo di timpani iniziale s'annuncia ricca d'invenzioni non convenzionali; s'abbandona fiduciosamente alla forza delle melodie che sgorgano ininterrottamente una più travolgente dell'altra. La regia di Alberto Fassini esprime le grandi passioni dei protagonisti con movimenti stilizzati ed essenziali, come le vecchie figurine Liebig; le scene di Mauro Carosi raccontano di castelli medioevali e di notti tempestose e romantiche; Odette Nicoletti riveste i protagonisti con splendidi costumi. I cantanti si calano tutti con convinzione nei rispettivi personaggi, anche se ognuno con sensibilità, stile e tecnica diverse. Dimitra Theodossiou fa di Leonora una creatura estatica e lunare, incantando il teatro con le sue due arie ma mostrandosi meno a suo agio nel terzetto del primo atto e nel duetto del quarto. Dario Volonté dà a Manrico una bella presenza e una voce anch'essa indubbiamente bella ma compromessa da una tecnica rudimentale. Stefano Antonucci è più sfumato e complesso dei soliti Conti di Luna torvi e cattivi. Elisabetta Fiorillo risolve Azucena con accenti esagerati, suoni gutturali e altri effetti, superficiali ma d'indubbia presa sul pubblico. Prezzi popolari, teatro pieno, applausi entusiastici.
A Colonia l’Orlando di Händel tratta dall’Ariosto e l’Orlando di Virginia Woolf si fondono nel singolare allestimento firmato da Rafael Villalobos con Xavier Sabata protagonista