Tosca come la voleva Puccini
Successo alla Scala per l'opera inaugurale diretta da Chailly
Per il secondo anno consecutivo, all'inaugurazione della stagione della Scala, l'apparizione di Sergio Mattarella ha scatenato applausi interminabili con tutti gli spettatori in piedi rivolti al Palco Reale, segno che il presidente rimane stabile punto di riferimeno del Paese. Dopo l'inno nazionale e il breve buio in sala, il marchio di Scarpia coi tre accordi dissonanti ha subito chiarito le intenzioni di Riccardo Chailly, che non ha perso occasione per sottolineare ogni più piccola asperità e crudezza nascosta in partitura. Sonorità sontuose analizzate nei dettagli, orchestrazione curatissima nei momenti più delicati sono state possibili anche grazie a un'orchestra in ottima salute e preparata con estrema cura. Il maestro, anche a rischio di moderare i tradizionali impeti che ci si aspetta da Tosca, ha potuto così proporre una lettura di Puccini un passo avanti sulla parabola musicale del Novecento. E non si può che essergli grati per aver spazzato via molta polverosa melensaggine che si deposita spesso sull'opera. Le voci dei tre protagonisti sono state perfettamente all'altezza. La Tosca di Anna Netrebko, il Cavaradossi di Francesco Meli, lo Scarpia di Luca Salsi non hanno nulla da invidiare ai grandi interpreti che li hanno preceduti al Piermarini. Con una maggiore sintonia del tenore col proprio personaggio rispetto al soprano e al baritono, meno disposti a rispondere alla drammaturgia dei loro ruoli.
Il ripristino dei tagli apportati da Puccini, dopo la prima romana del 1900 al Teatro Costanzi, son stati forse fin troppo esaltati e alla fin fine l'ascoltatore non è in grado di apprezzarli in dettaglio. Alcuni però sono stati facili da notare, il coro a cappella al finale del primo atto senza gli ottoni che ha dato senza dubbio maggiore lievità sonora, mentre altri due, che hanno comportato un maggior numero di battute, hanno creato seri problemi in palcoscenico. Dopo il "finalmente mia" di Scarpia Tosca per esempio ha dovuto infierire a lungo con le coltellate e il moribondo resistere più del solito su questa terra, con non pochi rischi di grand guignol. Ma la più ingombrante è risultata la citazione del "muoio disperato", dopo il salto di Tosca da Castel Sant'Angelo, che dura il doppio e ha dissolto il tradizionale brusco finale alla Verdi, obbligando il regista Davide Livermore a inventare una sequenza fantasy con un doppio della protagonista che ascende al cielo trafitta da raggi di luce. Un effettaccio che lascia per lo meno perplessi. A differenza del finale del secondo atto, che è come una strizzata d'occhio alla meta-opera, quando la protagonista vede il proprio doppio nella scena madre dell'assassinio e da vecchia volpe del teatro se ne compiace.
Il regista ha comunque creato uno spettacolone che appaga senza dubbio l'occhio, ma è più improntato ai continui cambi di scena che all'approfondimento della recitazione, e non è tanto concepito per lo spettatore in sala quanto per quello davanti al televisore. Scelta comprensibile, data la ricca offerta di collegamenti con la Scala, ma stando seduti in platea si ha la sensazione di un troppo che finisce per distrarre. Nel primo atto c'è un continuo su e giù di archi, apparire e sparire di sculture, spostamenti di altari, il più delle volte superflui, laddove alcuni tapis roulant invisibili spostano con celerità i personaggi alleggerendo così la situazione. A Palazzo Farnese invece sono i quadri alle pareti che si animano, ma non sono sufficienti a far lievitare la tensione necessaria allo scontro Tosca-Scarpia, perché il palcosceniro rimane soltanto una bella vetrina dove si muovono delle eleganti figure, non un'arena dove si scatenano passioni. Né è bastato mostrare il prigioniero torturato nel caveau, per creare un'atmosfera horror. Il terzo atto è occupato quasi interamente da un Castel Sant'Angelo coperto da un'ala ora nera, che talvolta rotea su se stesso, per poi sprondare e lasciare spazio alla santa in ascesa al cielo.
Calorosissima l'accoglienza al termine della serata e applausi per tutto il cast.
PS. In aperto contrasto con l'atmosfera dell'inaugurazione di stagione sono risultati i due giorni precendenti la prima, anche perché sono stati tolti alle prove di Tosca che ne avrebbe avuto vantaggio, per essere consacrati a una sfilata di Dolce e Gabbana, proprio alla vigilia della serata di Sant'Ambrogio. Il che ha comportato la costruzione di una pedana soprelevata da sotto il palco reale fino palcoscenico, lo smontaggio di parecchie poltrone, l'occupazione del palco reale per sistemare gli apparati di regia e quella del palcoscenico per allestire un banchetto finale da ambientare nella Roma papalina e farne uno spot pubblicitario. Il tutto per un piatto di lenticchie, si parla di 250mila euro, nemmeno interamente incassati perché è stata a carico della Scala la pulizia di quanto era rimasto in teatro, le ore di straodinari durate fino a tarda sera del 6 dicembre. Al di là di qualsiasi discorso retorico sulle istituzioni da rispettare, una scelta simile par proprio miope e di pessimo gusto. Peccato che non si siano sentite voci di dissenso né di opposizione da parte di chi avrebbe dovuto opporsi all'idea.
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