Tom Rainey Obbligato: solo standard?
Il quintetto del batterista americano esegue standard, ma al Torrione di Ferrara nulla di più lontano dal mainstream
“Perché mai un gruppo di oggi, espressione dell’attualità newyorchese esegue solo standard?”. Questo si domandava un perplesso habitué del Torrione in attesa che iniziasse il concerto. Probabilmente la risposta più attendibile sta nel fatto che in un clima di post-avanguardia non esistono più confini netti, non ci sono ostracismi aprioristici verso nessun approccio. La ricerca di ambito jazzistico può svilupparsi indifferentemente in qualsiasi direzione con pari dignità e motivazione: da un’ossessiva ritualità collettiva a un ponderato camerismo, dal neo-cool o dal revival del jazz modale alle contaminazioni con l’hip hop, da una rarefatta improvvisazione radicale a una tellurica dimensione elettronica…
Il quintetto Obbligato del batterista Tom Rainey, che si è esibito nel club ferrarese, da molti anni si dedica appunto alla rivisitazione di standard più o meno famosi, ai quali ha già dedicato due cd. Il che significa molto poco, perché dipende da come gli standard vengono affrontati; questo patrimonio storico del jazz costituisce un materiale tematico malleabile, da trattare con convinzione e non per convenzione, senza determinare di per sé la cifra stilistica del gruppo che lo esegue.
Nel caso di Obbligato non si procede mai con l’esposizione del tema, per lasciare poi il posto a una sequenza di assoli e concludere con la ripresa del tema stesso, come avviene nel mainstream canonico; si coagula invece un’articolata improvvisazione collettiva in cui la qualità melodica del tema viene occultata, manifestandosi spesso solo alla fine del brano. La struttura dinamica portante viene costruita con imperturbabile signorilità dallo stesso Rainey e dal basso di Drew Gress, che profondono un tonico, variegato e pervadente sottofondo. Quasi sempre i due coesi e inventivi fiati della front line, Ralph Alessi alla tromba e Ingrid Laubrock al tenore, s’intrecciano e si sovrappongono, sollecitandosi a vicenda in uno scambio di battute e intuizioni. In un impianto già libero e aperto, nel concerto ferrarese l’azione di Jacob Sacks al piano, in sostituzione della titolare Kris Davis, è apparsa particolarmente svincolata e interstiziale, ricca di spunti eccentrici e sottolineature.
Ben pochi, si diceva, i veri e propri spazi solistici dei singoli e in particolare dei due fiati; vale la pena però di mettere in evidenza quello della sassofonista in "Stella by Starlight", obliquo, stralunato, di sapore neo-cool. D’altra parte anche l’interplay del quintetto, il suo sound prevalente, le sue dinamiche sono attribuibili in buona parte all’ambito neo-cool, inteso non nel senso di pronuncia diafana, calibrata, distaccata, ma proprio per la capacità di far rivivere quello spirito di fervida interazione, quello sperimentale, teso e swingante intreccio delle voci tipici appunto della scuola cool di fine anni Quaranta.
A ben vedere non è questa oggi una delle principali tendenze in atto all’interno del jazz, americano e non solo?
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
A ParmaJazz Frontiere il rodato duo fra il sax Evan Parker e l'elettronica di Walter Prati
Il Bobo Stenson Trio ha inaugurato con successo la XXIX edizione del festival ParmaJazz Frontiere
Si chiude la stagione di Lupo 340 al Lido di Savio di Ravenna, in attesa di Area Sismica