Ritmi americani e sensibilità russa nella tournée tedesca dell’Orchestra di Santa Cecilia
A Colonia il festeggiatissimo concerto dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, terza tappa della tournée in Germania e Repubblica Ceca
Grande successo per la tappa alla Philharmonie di Colonia, la terza della tournée dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia guidata dal suo direttore ospite principale Jakub Hrůša che dopo Amburgo e Berlino si chiuderà con due concerti a Monaco di Baviera e Praga. La formazione è rimasta quella del concerto nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, di cui su queste pagine ha già riferito Mauro Mariani, con il pianista Daniil Trifonov come solista per un programma di ispirazione americana. Significativa, invece, la sostituzione del Concerto per pianoforte di Mason Bates, eseguito in prima italiana a Roma, con un classico del pianismo moderno di scuola americana come il Concert in F di George Gershwin impaginato, come a Roma, fra la Cuban Ouverture di Gershwin (che nell’ultimo concerto a Praga sarà sostituita da Les fresques de Piero della Francesca di Bohuslav Martinů e da Kirill Gerstein al pianoforte per Gershwin) e le Danze Sinfoniche op. 45 di Sergej Rachmaninov.
Se la travolgente apertura con i ritmi cubani della breve composizione di Gershwin mette bene in mostra le notevoli qualità tecniche e la plasticità del suono dell’orchestra romana – ma specialmente la luminosità degli ottoni e la versatilità delle percussioni con le estensioni “etniche” di claves, guiro, maracas e bonghi – non lo è da meno l’esecuzione del celebre Concert in F, il primo orchestrato interamente dal ventisettenne Gershwin e clamoroso successo alla prima esecuzione alla Carnegie Hall nel 1927. Il riuscito innesto nella forma classica del concerto per pianoforte di ritmi jazz e di generi tipici della tradizione americana trovano in Daniil Trifonov un interprete d’elezione: entrambi trapiantati a New York ed entrambi con radici russe (Gershwin, al secolo Jakob Gershovitz, era figlio di immigrati da San Pietroburgo). Tuttavia, l’anima classica sembra prevalere nella pur stupefacente prova tecnica offerta da Trifonov alla tastiera, poco danzante sul ritmo del Charleston nel primo movimento e sull’ “orgia dei ritmi” (definizione del compositore) del terzo ma visibilmente più in armonia nel notturno “blues americano” del secondo movimento. Il suono del pianoforte paga un certo parossismo sonoro dell’orchestra nei finali del primo e del terzo movimento diretto con fin troppo slancio da Hrůša ma l’esecuzione è di quelle che strappano l’applauso entusiasta del pubblico, ripagato da Trifonov da uno scintillante Preludio dalla Partita per violino in mi maggiore di Johann Sebastian Bach nella trascrizione pianistica di Sergej Rachmaninov.
Ancora America filtrata dalla sensibilità musicale russa nella seconda parte del concerto occupata interamente dalle Danze sinfoniche di Sergej Rachmaninov, ultimo lavoro del compositore, scritto a Long Island nel 1940 durante gli ultimi anni spesi negli Stati Uniti. Se nella prima parte Hrůša fa prevalere soprattutto il brillante virtuosismo delle varie sezioni dell’orchestra, nei tre movimenti della composizione di Rachmaninov si coglie soprattutto la velata malinconia dell’anima slava anche nei momenti n cui la scrittura esige movimenti più agili e scattanti. Molto festeggiato anche questo Rachmaninov da sonori applausi. Quando già numerosi spettatori sono decisi a conquistare le uscite del vasto catino circolare della Philharmonie, Jakob Hrůša li blocca con la promessa di un doppio bis dedicato al suo compatriota Bedřich Smetana nell’anno del bicentenario: le due vivacissime e solari danze dei commedianti dalla Sposa veduta. Molti applausi.
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