Riti da stadio
Bruce Springsteen a Wembley con la E Street Band
Recensione
pop
Su Londra risplende ancora un pallido sole quando, da poco passate le 19, Bruce Springsteen e la E Street Band fanno irruzione sul palco del leggendario Wembley Stadium. Un boato accoglie “Land of Hope and Dreams”, e per i successivi 200 minuti è un susseguirsi ininterrotto di entusiasmanti vibrazioni rock’n’roll, con un Boss in forma smagliante e un’ennesima, brillante e affiatata versione della backing band più celebrata di tutti i tempi: le chitarre di Steve Van Zandt e Nils Lofgren, il basso di Garry Tallent e il piano di Roy Bittan, accompagnati da un’infinità di altri musicisti (tra cui Jake Clemons, nipote dell’indimenticato Clarence: due generazioni di sassofonisti alla corte del re del rock), macinano come sempre quantità industriali di energia musicale, alla faccia di una terza età che bussa ormai alle porte.
“Jackson Cage”, “Hungry Heart”, “Born to Run”, “Dancing in the Dark”, “Bobby Jean”, persino le preistoriche “Lost in the Flood” (rarissimo ascoltarla dal vivo) e “Rosalita (Come out Tonight)”: classici più o meno datati (spesso, come di consueto, richiesti dal pubblico delle prime file) si alternano senza soluzione di continuità per tutto il concerto, ma la parte più emozionante dell’esibizione è forse quella centrale, con il capolavoro del 1978 [i]Darkness on the Edge of Town[/i] riproposto nella sua interezza.
Da brividi il finale, con una “Twist and Shout” in versione cubana e la classica “Thunder Road” solo voce, armonica e chitarra acustica. A ennesima conferma del fatto che il Boss, a quarant’anni esatti dall’esordio discografico, è ancora capace di celebrare il cerimoniale del rock’n’roll come nessun altro è in grado di fare.
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